di Mara Azzarelli
Il senso. Mi sono interrogata per ore su quale fosse il senso. Il senso del video di quell’arresto sbattuto in rete. Di quegli occhi stralunati immortalati in un frammento di immagini e lasciati in balia di chiunque, di un adulto come di un ragazzo, senza una spiegazione competente.
Al di là di quel che è giusto e sbagliato, del bene e del male, su cui non si può non essere tutti d’accordo davanti a una storia simile mi sono chiesta quale potesse essere, il senso, di quel video lanciato come carne nella gabbia dei leoni, con il web pronto a vomitare insulti, minacciare, condannare e sputare ovvietà. Perché in fondo che un uomo che vende suo figlio vada condannato e arrestato, in un paese civile, cos’è se non un’ovvietà?
La risposta è che forse, in fondo, la fretta di comunicare qualsiasi cosa e subito ha fatto perdere un po’ a tutti il senso. Della misura, in parte. Della realtà, principalmente. Quella realtà per cui oggi un popolo, una città, se ne sta lì con la bava alla bocca a veder braccare un uomo (sebbene si possa pensare di lui tutto il male possibile) senza sapersi chiedere: a cosa servono queste immagini? Chi le ha fatte e le ha condivise quale obiettivo voleva raggiungere? Cosa voleva insegnare?
Un giorno, in un piccolo paese della Sicilia, parlai a lungo con un’assistente sociale. Mi spiegò come fosse solito per i bambini che subiscono violenza reiterare quella violenza, ricercandola o ricreandola da adulti. Non conosciamo la storia di quel padre spregevole che sulla spiaggia di Ostia ha provato a vendere suo figlio, non sappiamo dunque quali fantasmi ci siano nella sua mente ma non possiamo escludere che quell’uomo un tempo sia stato un bambino da difendere come oggi lo è suo figlio. Soprattutto un popolo degno di essere chiamato tale oggi dovrebbe discutere di come si diventa orchi, non per giustificare ma per capire e magari per evitare che altri bambini violati possano da grandi riprodurre le violenze subite.
Di sicuro il ragionamento è molto più complicato, più lungo e più faticoso di un “tutti al rogo” o di un “ammazzatelo”: questo il tenore dei commenti scatenati in rete dalla condivisione di quel video privo di una guida. E’ un ragionamento però complesso che implica consapevolezza dei problemi e conoscenza della realtà in cui si vive.
A Ostia – il luogo dove quel padre provava secondo la ricostruzione dei fatti a concedere il suo bambino per prestazioni sessuali dietro pagamento di denaro – gli assistenti sociali che si occupano di minori a rischio sono 14 (su una popolazione residente di 250mila abitanti) ciascuno dei quali con un centinaio di bambini a carico. Una situazione drammaticamente peggiorata con la chiusura delle scuole durante il lockdown quando i più piccoli hanno perso punti di riferimento esterni alla famiglia: maestre, bidelle e personale scolastico capace di intercettare le richieste d’aiuto dei bambini violati. Quelli per cui casa non è un luogo sicuro. Quelli per cui mamma e papà, nonni o zii, non sono una guida o uno scudo ma sono loro stessi il male da cui liberarsi. Aprire gli occhi su queste informazioni è sicuramente più utile.
Ecco perché la nostra televisione decide di raccontarvi oggi in maniera diversa l’esistenza di quel video. Non lo condividiamo come si condividono le oscenità sulle pareti dei gabinetti degli autogrill ma ve lo raccontiamo provando a fare insieme un ragionamento che vada oltre il vostro e il nostro disgusto. Che abbia, in qualche maniera e comunque, un senso.
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