“Vendite del pesce fresco ridotte del settanta per cento in due mesi”. E’ l’allarme lanciato dall‘Associazione Piscicoltori Italiani, che a causa della chiusura delle attività di ristorazione ha calcolato un passivo di 500mila euro al giorno nel periodo di quarantena. Lungo lo stivale il comparto comprende trecento imprese con ottocentocinquanta siti di allevamento ittico. Molte di queste hanno produzioni importanti che arrivano anche a 200mila chili di pesce fresco per essere venduto e che ad oggi invece rimane in azienda.
“L’export, finora fermo, mostra timidi segnali di ripresa – fa sapere il presidente di Api, Pier Antonio Salvador – la grande distribuzione, sebbene sia l’unico canale rimasto sempre attivo, ha registrato un calo negli acquisti. – prosegue – l’emergenza coronavirus ha cambiato le abitudini alimentari degli italiani che preferiscono acquistare prodotti confezionati. Occorre incentivare il consumo del nostro pesce fresco di qualità e salubrità eccellente”.
“Pertanto – conclude – chiediamo che venga subito attivata una campagna di comunicazione per acquacoltura e pesca made in italy, con uno spazio dedicato nei supermercati”. “Gli effetti del Covid-19 rischiano di colpire ulteriormente la pesca locale che deve scontare già gli effetti della crisi che l’ha colpita duramente negli ultimi anni. – aggiunge la presidente del Wwf italia, Donatella Bianchi – è necessario accompagnare con sostegni mirati la riorganizzazione dei piccoli mercati, per non perdere una componente identitaria delle nostre coste”. – conclude.
CORONAVIRUS, API-ASSOCIAZIONE PISCICOLTORI ITALIANI (CONFAGRICOLTURA): VENDITE DEL PESCE FRESCO RIDOTTE DEL 70% IN DUE MESI
“Occorre incentivare il consumo del pesce fresco italiano, di qualità e salubrità eccellenti”
La quarantena, con la chiusura delle attività di ristorazione, ha determinato una contrazione delle vendite dell’acquacoltura senza precedenti: il 70% in due mesi.
“Abbiamo calcolato una perdita secca di 500.000 euro al giorno. I conti sono presto fatti: il canale HoReCa, che detiene circa il 35% del mercato, è stato totalmente azzerato, così come le attività della pesca sportiva, cui corrisponde il 15%. Le esportazioni (un altro 20%) sono fortemente ridotte”. E’ questo l’allarme lanciato dal presidente dell’Associazione piscicoltori italiani Pier Antonio Salvador.
In Italia – ricorda l’Api – gli allevamenti sono presenti su tutto il territorio. Quelli di trote sono concentrati nel Nord e nelle regioni del Centro; Friuli, Veneto, Toscana, Liguria, Lazio, Sicilia e Puglia sono specializzate nell’allevamento di spigole e orate.
Per i molluschi spiccano Marche, Emilia Romagna, Liguria e Campania, mentre la Sardegna è specializzata nell’allevamento di ostriche. Piemonte e Lombardia e Veneto per il caviale, di cui siamo tra i maggiori produttori al mondo.
Lungo lo Stivale il comparto comprende 300 imprese con 850 siti di allevamento ittico. Numerose imprese hanno produzioni importanti, che arrivano 200.000 Kg di pesce fresco per la vendita, ma che oggi resta in azienda.
“L’export, finora fermo, mostra timidi segnali di ripresa, in particolare con l’Austria. La GDO – prosegue Salvador – sebbene sia l’unico canale rimasto sempre attivo, ha registrato un calo degli acquisti: l’emergenza Coronavirus ha cambiato le abitudini alimentari dei consumatori, che preferiscono acquistare prodotti confezionati. Ma il prodotto fresco italiano, oltre che fare bene alla salute, garantisce elevati standard di qualità e sicurezza alimentare. Chiediamo che venga subito attivata una campagna di comunicazione per acquacoltura e pesca “Made in Italy”, con uno spazio dedicato nei supermercati”.
“Sul fronte europeo, – conclude il presidente dell’Api – la UE ha fatto un’importante modifica alle regole per accedere al fondo per gli affari marittimi e la pesca (FEAMP), riservando all’acquacoltura la possibilità di compensazione per la riduzione della produzione e delle vendite o per spese supplementari connesse al magazzinaggio. Ora dobbiamo fare in modo che le imprese possano utilizzare tali risorse quanto prima”.