Li pescano a tutte le ore della notte. Muniti di rastrelli ma anche di tuta da sub, bombole ad aria e pinne sfruttando l’oscurità per sfuggire ai controlli della Guardia Costiera e delle altre forze di polizia che cercano di arginare il fenomeno della pesca di frodo del riccio di mare lungo la costa tirrenica. Una zona riproduttiva che da Porto Clementino a Nord di Civitavecchia si spinge verso sud, sino confini con il comune di Ladispoli interessando anche Santa Marinella e Santa Severa.
I dati forniti dalla Capitaneria di Porto evidenziano i gravi rischi che minacciano la riproduzione del riccio di mare sul litorale a nord di Roma
Quello del commercio illegale degli echinodermi è diventato un business che ha valicato i confini nazionali perché questi molluschi che prediligono le zone ricche di scogli e di microrganismi di cui nutrirsi, oltre a essere molto gustosi hanno anche tante proprietà nutritive. Ma si riproducono e crescono lentamente. Le attività di raccolta sono complesse e generano guadagni stratosferici considerato che il loro prezzo può raggiungere i 40 euro al chilogrammo.
E i ricci di mare che crescono sulla riviera laziale sono tra i migliori in commercio perché i bassi fondali favoriscono una produzione di alta qualità. Per questa ragione, da diverso tempo, le colonie locali di echinodermi hanno attirato l’attenzione della malavita organizzata pugliese che si serve di bracconieri nullatenenti i quali, oltre al sequestro dell’equipaggiamento rischiano poco perché le attività illegali sono punite con sanzioni amministrative facilmente aggirabili da parte di chi non possiede patrimoni aggredibili.
Il grido di allarme sull’espansione del bracconaggio, attività illegale capace di generare flussi di danaro per milioni di euro, è stato lanciato dal Comandante della Capitaneria di Porto Salvatore Marchese, Capo Servizio operazione per l’ambiente e la difesa costiera, durante un convegno intitolato “Riccio di mare tra prelibatezza ed estinzione” organizzato da Slow Food Comunità del riccio di mare di Santa Marinella e Civitavecchia che, insieme a Cibo Futuro, terrà a battesimo a partire da domani 2 maggio e fino a domenica prossima, 5 maggio, una Festa dedicata a questo pregiatissimo mollusco (leggi qui).
Una specie minacciata che fa gola alle incursioni compiute in trasferta da pescatori di frodo provenienti principalmente dal sud, anche Calabria e Sicilia, dove il consumo di questi frutti di mare è particolarmente diffuso.
La materia è disciplinata dal Decreto ministeriale 12 gennaio 1995 sulla disciplina della pesca del riccio di mare che ne consente la raccolta durante tutti i mesi dell’anno a esclusione dei mesi di maggio e giugno.
Le norme che disciplinano la pesca e l’incremento del bracconaggio sulla costa a nord di Roma
L’attività di prelievo può essere effettuata sia da pescatori professionali entro un limite massimo di 1000 esemplari sia da chi, invece, pratica la pesca sportiva con un tetto che non può superare le 50 unità. La raccolta può essere fatta solo attraverso immersione oppure manualmente con un’asta a specchio e un rastrello.
Basta confrontare i limiti imposti dal regolamento governativo per rendersi conto delle dimensioni raggiunte dalle attività di frodo.
Nel 2019 la Guardia Costiera aveva sequestrato 16.750 esemplari ancora vivi e vitali e rigettati a mare oltre al contestuale sequestro delle attrezzature impiegate illegalmente. Pinne, maschere, muta e bombole ad aria e l’applicazione di sanzioni pari a 44mila euro. Lo scorso anno i ricci di mare recuperati sono schizzati a quota 24mila con multe che hanno toccato i 35mila euro ma a fronte di un numero inferiore di interventi di controllo e prevenzione del bracconaggio. A questi dati si aggiungono poi i sequestri compiuti dalle alte forze di polizia saliti da 2250 esemplari nel 2019 e i 24mila del 2023.
Al di là dell’aspetto criminale ciò che va tenuto in considerazione dal punto di vista dell’equilibrio ambientale è la lentezza con cui le colonie di ricci si riproducono e la lunghezza del periodo di accrescimento dell’echinoderma che impiega circa 4/5 anni per raggiungere una taglia utile a garantirne lo sfruttamento commerciale pari a circa 6/9 centimetri.
Il giro di vite della magistratura per tutelare l’ecosistema marino dalle attività predatorie
La magistratura ha recentemente preso coscienza della pericolosità di comportamenti predatori che minacciano non solo l’estinzione della specie in alcune zone della Penisola ma l’equilibrio stesso dell’ecosistema marino.
La Corte costituzionale con la recente sentenza n. 16/2024 ha, infatti, stabilito che è legittimo il blocco della pesca triennale dei ricci di mare in Puglia, mentre la terza sezione della Corte di Cassazione Penale con la sentenza n. 41602 del 13 ottobre scorso ha stabilito che un deterioramento o una compromissione dell’ambiente marino perpetrati attraverso una pesca indiscriminata di ricci di mare per un lungo periodo possono essere puniti con le sanzioni comminate dall’articolo 452 bis del codice penale nei confronti di chi provoca l’inquinamento ambientale. Reato che soggiace alla pena della reclusione da due a sei anni e a una multa compresa tra 10mila e 100mila euro.
“Siamo molto soddisfatti di quanto emerso da un convegno che ha spaziato dalla descrizione dei rischi del bracconaggio al contributo offerto da chi studia i rischi di estinzione di questi molluschi come Maissa Gharbi della Commissione Generale Pesca del Mediterraneo della FAO, Sergio Scanu, del Laboratorio Oceanologia UniTuscia, Simone Marzeddu e Luca Muzzioli dell’Università ‘La Sapienza’ di Roma ampliando l’orizzonte di conoscenze per tutelare questa delicatissima specie e contiamo di ripetere l’iniziativa l’anno prossimo” ha sottolineato Angelo Fanton portavoce della Comunità del Riccio di Mare.
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