La società dell’aggressione: dagli ospedali alle scuole l’Italia dimentica il rispetto

Dati allarmanti sulla crescita della violenza contro medici e infermieri ma anche nelle scuole, il profilo della società dell’aggressione

Roberto Riccardi*

Un medico aggredito ogni giorno. Quattrocento episodi di violenza in un anno nelle sole strutture sanitarie romane. Settantasette agenti di polizia impiegati permanentemente nei presidi ospedalieri del Lazio.

Dati allarmanti sulla crescita della violenza contro medici e infermieri ma anche nelle scuole, il profilo della società dell’aggressione

Numeri che non appartengono a uno scenario di guerra, ma alla quotidianità della sanità italiana. Al Grassi di Ostia, i sanitari lavorano “come in trincea” – parole loro, non nostre. Non stiamo descrivendo un’emergenza temporanea, ma un nuovo modello di rapporto tra cittadini e istituzioni.

La violenza è diventata normalità

I dati sono impietosi e raccontano un fenomeno strutturale. Nelle 22 strutture ospedaliere laziali monitorate, oltre 58.000 referti per aggressioni esterne sono stati registrati in soli 15 mesi.

Una media di 129 aggressioni al giorno. Un decennio fa, questi numeri sarebbero stati impensabili. Oggi, invece, i nostri ospedali hanno bisogno di presidi di polizia permanenti, come fossero zone di guerra.

Ma non si tratta di un fenomeno isolato. Nelle scuole italiane, 1.800 docenti sono stati aggrediti fisicamente nell’ultimo anno scolastico – spesso da genitori inferociti per un’insufficienza o una nota disciplinare. La Società Italiana di Pedagogia riporta che il 47% degli insegnanti ha subito minacce verbali da parte di familiari degli studenti. Le aggressioni fisiche sono aumentate del 136% rispetto a cinque anni fa.

Passiamo alle forze dell’ordine: 2.700 agenti feriti durante manifestazioni o interventi nell’ultimo anno, con un incremento del 38% rispetto al 2020. La violenza contro le istituzioni non è più l’eccezione, ma la regola.

L’analfabetismo funzionale alimenta la rabbia

Non è casuale che questo fenomeno si verifichi nel Paese con uno dei tassi di analfabetismo funzionale più alti d’Europa. L’OCSE certifica che il 28% degli italiani non comprende un testo di media complessità. Un terzo della popolazione non possiede gli strumenti cognitivi per interpretare correttamente informazioni articolate.

E dove si informa questa popolazione vulnerabile? Certamente non sui giornali tradizionali. Il Corriere della Sera, il quotidiano più diffuso, ha una tiratura media di appena 206.385 copie in un Paese di 60 milioni di abitanti. Lo 0,3% della popolazione.

Il resto si nutre di social media, dove l’algoritmo premia la rabbia e l’indignazione, dove le notizie false circolano sei volte più velocemente di quelle verificate, come certificato da uno studio del MIT di Boston.

I mestatori del risentimento

In questo terreno fertile prosperano i mestatori professionisti del risentimento. Dai “vaffa” gridati nelle piazze che poi diventano politica istituzionale, alle trasmissioni televisive che trasformano ogni disfunzione in complotto, il meccanismo è sempre lo stesso: delegittimare sistematicamente ogni autorità per poi proporsi come salvatori.

L’emergenza climatica viene trasformata in business da un lato o in isteria apocalittica dall’altro, impedendo qualsiasi discussione razionale. La scienza medica viene sfidata con la stessa leggerezza con cui si contesta un arbitro di calcio. L’autorevolezza degli insegnanti viene demolita quotidianamente, spesso con la complicità di genitori che crescono figli convinti che ogni regola sia negoziabile, ogni voto un affronto personale, ogni limite un’ingiustizia.

Testate giornalistiche che pretendono di fare informazione alternativa pubblicano accuse infamanti che, anche quando smentite clamorosamente, lasciano macerie reputazionali irrecuperabili. Il danno è fatto, la smentita ignorata, il pubblico passa alla prossima indignazione.

Le occupazioni scolastiche: palestre di devastazione

Le cifre delle devastazioni scolastiche durante le occupazioni studentesche sono allarmanti. Nell’ultimo anno, 12 milioni di euro di danni alle sole scuole romane. Laboratori distrutti, computer rubati, muri imbrattati. Un liceo del centro di Roma ha registrato 340.000 euro di danni in una singola occupazione – l’equivalente del budget annuale per materiali didattici di dieci istituti di periferia.

Si distrugge ciò che è di tutti in nome di una presunta ribellione che non sa articolare rivendicazioni comprensibili. E il giorno dopo, chi ha devastato pretende aule funzionanti, laboratori attrezzati, scuole efficienti. Il paradosso di una generazione che brucia la casa e poi si lamenta di non avere un tetto.

La società che non sa più leggere

Tutto questo accade mentre il 70% degli italiani non legge nemmeno un libro all’anno. Mentre il tempo medio di attenzione su un testo è sceso da 12 minuti nel 2004 a meno di 50 secondi oggi. Mentre il 68% dei nostri concittadini si informa esclusivamente attraverso i social media, dove l’informazione è ridotta a titoli urlati e video di 30 secondi.

L’Istat certifica che solo il 16% della popolazione possiede competenze digitali elevate, eppure il 92% si considera perfettamente in grado di distinguere le notizie vere dalle false. Un abisso tra competenze reali e percezione di sé che è il brodo di coltura ideale per la manipolazione di massa.

Un Paese in caduta libera

Da un lato, la crescente incapacità di comprendere la complessità. Dall’altro, una classe dirigente che ha rinunciato a parlare con chiarezza, preferendo cavalcare le paure. In mezzo, istituzioni sempre più fragili che non sanno più come difendersi dalla violenza quotidiana.

I dati PISA mostrano che i quindicenni italiani sono sempre più indietro in matematica e comprensione del testo rispetto ai coetanei europei. La stessa generazione che occupa le scuole è quella che le frequenta sempre meno preparata. Gli investimenti in istruzione ristagnano al 3,6% del PIL contro una media UE del 4,7%. Tagliamo sui libri e poi ci stupiamo della violenza.

Chiamare le cose con il loro nome

È tempo di chiamare questa deriva con il suo nome: imbarbarimento.

Non è una crisi temporanea, ma una trasformazione profonda della società italiana. Una società dove l’incapacità di argomentare si traduce in pugno, dove la frustrazione diventa violenza, dove l’ignoranza si fa vanto.

Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: un Paese dove i migliori cervelli fuggono (112.000 laureati emigrati nell’ultimo anno), dove i pronto soccorso si svuotano di medici che scelgono professioni meno rischiose, dove gli insegnanti più qualificati evitano le scuole difficili.

Non è più tempo di mezze misure. Servono investimenti massicci in istruzione (almeno 15 miliardi aggiuntivi per allinearci alla media europea), pene severe per chi aggredisce rappresentanti delle istituzioni, una riforma profonda dell’informazione che responsabilizzi i social media.

Ma soprattutto, serve uno scatto culturale collettivo. O l’Italia ritrova la strada del rispetto per le competenze, per le istituzioni e per le regole condivise, oppure continueremo a contare medici aggrediti, insegnanti picchiati, scuole devastate. E un giorno ci sveglieremo in un Paese dove la violenza sarà l’unico linguaggio rimasto. Anzi, ci siamo già quasi svegliati.

*Commissario UDC Roma e Città Metropolitana