“Sei così brutta che devi morire”, le dicevano le bulle. E’ solo una delle agghiaccianti frasi che Marta (nome di fantasia per tutelare la sua identità), una 13enne di Roma Sud, si è sentita ripetere per tre lunghi anni, quasi quotidianamente.
Tre bulle in azione, per tre anni perseguitano una 13enne rendendole la vita impossibile
A vessarla con insulti e umiliazioni mirate al suo aspetto fisico, tre sue coetanee, compagne di scuola. Le tre giovani sono ora imputate per stalking, per aver creato le condizioni di un vero e proprio incubo che Marta, affetta da un lieve ritardo che non le impedisce di condurre una vita normale, ha subito a scuola e le strade del suo quartiere, a Roma Sud.
La spirale di violenza verbale ha avuto inizio nel 2020, quando le tre conoscenti hanno iniziato a deridere Marta. In un periodo segnato dall’incertezza della didattica a causa della pandemia, la giovane si è trovata al centro di attenzioni tutt’altro che positive.
Gli incontri pomeridiani si trasformavano in un tormento, con domande cariche di cattiveria come: “Perché vivi sulla Terra?”. Nonostante Marta non avesse alcuna sindrome di Down, veniva etichettata come tale. I suoi tentativi di replica si infrangevano contro l’aggressività delle coetanee, che non le davano modo di parlare e rimanevano indifferenti alle sue lacrime, anzi, sembravano trarre piacere dalla sua sofferenza.
Le umiliazioni
Le umiliazioni non si limitavano agli incontri casuali, come specifica Giulio De Santis sul Corriere della Sera. Le tre “bulle” creavano video su TikTok deridendo persone con disabilità cognitive e specificando che Marta era il loro “esempio“. L’adoelscente si chiudeva sempre più in se stessa, manifestando svogliatezza nell’andare a scuola e tendendo all’isolamento. Nonostante non frequentassero la stessa classe, gli incroci nei corridoi dell’istituto erano spesso occasione per nuove, feroci battute: “Devi vivere in una cantina”, “Dovresti avere delle sorelle negre”.
Quando Marta provava a difendersi, l’arroganza delle tre ragazze non lasciava spazio al dialogo. La situazione è degenerata ulteriormente con la creazione di una chat dal nome denigratorio, “Scabbius”, in cui Marta veniva inserita per leggere insulti ancora più violenti: “Ti diamo fuoco”, “Hai i pidocchi, hai la scabbia”.
Esasperata, la ragazzina ha finalmente trovato il coraggio di raccontare tutto ai genitori, che hanno immediatamente sporto denuncia. Due delle imputate, dopo il rinvio a giudizio, hanno ottenuto la messa alla prova, mentre una terza chiederà la sospensione del processo per svolgere lavori di pubblica utilità.