E’ ancora un futuro incerto quello che dei dipendenti dei supermercati ex Iper La Spesa, passati da Maiorana ad Atas 21, coinvolti loro malgrado in una complessa vicenda industriale, che per loro ha significato esclusivamente una serie di promesse non mantenute, lettere di licenziamento revocate e il rischio ancora oggi concreto, di perdere il lavoro. I sindacati denunciano una situazione insostenibile e chiedono chiarezza sul futuro occupazionale dei dipendenti
I supermercati Iper La Spesa restano chiusi: futuro incerto per i dipendenti in cassa integrazione
Sullo sfondo di questa vicenda, emerge la crisi del gruppo Maiorana e le ombre legate alla nuova società acquirente. Una questione complessa che prende il via nel 2024, quando il gruppo Maiorana, storico nome della grande distribuzione nel Lazio, si trova ad affrontare una profonda crisi finanziaria, culminata in un’indagine per presunta maxi-evasione IVA.
In questo contesto di incertezza, la società EMMEpiù, controllata da Maiorana, decide di cedere sei punti vendita a marchio “Iper per la spesa”, situati tra Roma e provincia, alla neonata Atas 21 s.r.l., amministrata da Luigi Sciommeri.
Si tratta dei punti vendita di Cesano, Volusia, Torvergata, Lariano, Colleferro e Guidonia.
La cessione
La cessione, inizialmente, sembra rappresentare una boccata d’ossigeno per gli ottanta dipendenti dei supermercati coinvolti, ai quali viene assicurato il passaggio diretto ad Atas 21 con il mantenimento di contratti e livelli retributivi. A sancire l’accordo, vengono siglati due verbali sindacali che confermano l’impegno della nuova proprietà a garantire la continuità occupazionale.
Dalle promesse alle lettere di licenziamento
Nonostante le rassicurazioni e gli accordi sottoscritti, la situazione invece precipita rapidamente. Appena due settimane dopo il rogito, e ancor prima che i dipendenti diventino effettivamente operativi sotto la nuova gestione, Atas 21 invia a sorpresa ottanta lettere di licenziamento, motivando la decisione con il fallimento della società.
I sindacati, sospettando un accordo preesistente tra cedente e cessionaria volto a scaricare sui lavoratori il peso della crisi, reagiscono immediatamente, contestando i licenziamenti e ottenendo la loro revoca e la conseguente riassunzione da parte di Atas 21. Tuttavia, la società acquirente dichiara contestualmente l’impossibilità di riaprire i punti vendita appena acquisiti, gettando nuovamente nello sconforto i dipendenti.
Incontri sindacali infruttuosi e il ricorso agli ammortizzatori sociali
Nei mesi successivi, si susseguono una serie di incontri sindacali tra le parti coinvolte, Emme più e Atas 21, in un rimpallo di responsabilità che non porta a soluzioni concrete per i lavoratori. L’ultimo tentativo di mediazione si svolge con Confcommercio, durante il quale Luigi Sciommeri di Atas 21 annuncia di essere costretto a rivolgersi al Ministero del Lavoro per attivare gli ammortizzatori sociali, al fine di poter garantire il pagamento degli stipendi ai neo-dipendenti acquisiti.
Ad oggi, i dipendenti si trovano ancora in cassa integrazione, senza certezze sul loro futuro occupazionale. Atas 21 ha richiesto un prolungamento della cassa integrazione, che è stato approvato fino ad agosto 2026 durante un tavolo ministeriale tenutosi il 5 febbraio 2025.
La speranza di una ripresa delle attività dei supermercati si affievolisce giorno dopo giorno, mentre cresce il timore di una procedura di licenziamento definitiva.
A rischio anche i dipendenti dei cash and carry
La già complessa situazione del gruppo Maiorana si estende anche ai suoi cinque cash and carry (magazzini all’ingrosso) dislocati tra Roma e provincia.
Parallelamente alla travagliata vicenda dei supermercati ex Iper La Spesa infatti, nell’ottobre precedente l’azienda aveva anche avviato una procedura di licenziamento collettivo che avrebbe coinvolto circa 70 dipendenti su un organico di 290, nel frattempo ridottosi a meno di 260 a causa di numerose dimissioni volontarie.
Anche in questo frangente, l’intervento delle organizzazioni sindacali si è rivelato cruciale per scongiurare un’ulteriore perdita di posti di lavoro. Dopo una serie di intensi tavoli di trattativa tenutisi presso la Regione Lazio, i sindacati sono riusciti a evitare il licenziamento collettivo dei dipendenti a rischio.
Tuttavia, l’accordo raggiunto con l’azienda ha comportato un significativo sacrificio prevedendo una riduzione del 30% dell’orario di lavoro. Una misura poi formalizzata attraverso un contratto di solidarietà.