Decreto Vaticano persegue chi elude "fraudolentemente i sistemi di sicurezza" o si sottrae "ai controlli di frontiera"
di Roberto Riccardi
Mura alte, controlli serrati e ora anche pene severe. Il Vaticano blinda i suoi confini con un decreto che non lascia spazio a interpretazioni: chi entra senza permesso rischia fino a quattro anni di carcere e multe salate fino a 25mila euro.
Una decisione che stride, e non poco, con i continui appelli di Papa Francesco all’accoglienza e alle “porte aperte” per i migranti.
La Santa Sede potrà anche giustificare il provvedimento con le esigenze di sicurezza legate al Giubileo, ma la contraddizione resta lampante. Come si può predicare l’accoglienza incondizionata e poi trasformare il proprio territorio in una fortezza inespugnabile?
Il decreto parla chiaro: chi elude “fraudolentemente i sistemi di sicurezza” o si sottrae “ai controlli di frontiera” deve essere perseguito. Sono esattamente le stesse azioni che compiono i migranti quando attraversano il Mediterraneo o la rotta balcanica. Quegli stessi migranti che il Pontefice difende a spada tratta, criticando chi vuole regolare i flussi migratori.
La realtà è che anche il più piccolo Stato del mondo sa bene che i confini vanno protetti. Lo fa con determinazione e severità. Ma allora perché continuare a stigmatizzare chi, come l’Italia, cerca semplicemente di fare lo stesso?
Il messaggio che arriva da Oltretevere è inequivocabile: le porte aperte vanno bene, ma solo in casa d’altri. Una posizione che rischia di minare la credibilità degli appelli umanitari del Vaticano e che mette in luce una dissonanza tra parole e azioni che non può più essere ignorata.
Non si tratta di negare il diritto della Santa Sede di proteggere i propri confini. È sacrosanto che lo faccia. Ma è altrettanto legittimo pretendere coerenza tra i principi predicati e le azioni concrete. Altrimenti il rischio è quello di trasformare gli appelli alla solidarietà in vuota retorica.