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Roma, omicidio dell’infermiera Rossella Nappini: ergastolo per l’ex

Ergastolo per Adil Harrati: contestata anche l'aggravante della crudeltà

I giudici della prima Corte d’Assise di Roma hanno condannato all’ergastolo Adil Harrati, il 46enne di origine marocchina, imputato nel processo per l’omicidio di Rossella Nappini, l’infermiera di 52 anni uccisa il 4 settembre 2023 nell’androne di uno stabile in zona Trionfale a Roma, dove era tornata a vivere con la mamma.

Ergastolo per Adil Harrati: contestata anche l’aggravante della crudeltà

All’uomo è stata riconosciuta l’aggravante della crudeltà e della relazione sentimentale, non quella della premeditazione e dei motivi futili e abietti.

Nel processo era costituita parte civile, oltre ai familiari della vittima, l’Associazione ‘Insieme a Marianna’ con l’avvocato Licia D’Amico, secondo cui si è arrivati a una sentenza “che appare equilibrata e fedele al dato probatorio”.

Questa è una sentenza importante, una sentenza che ha riconosciuto l’aggravante della crudeltà. E in questo femminicidio, come in tanti altri, c’è stato un accanimento feroce sul corpo delle vittime”, commenta l’avvocata Licia D’Amico.

Uccisa con 56 coltellate

Il magrebino, ora condannato all’ergastolo, aveva avuto una breve relazione di qualche mese, con la vittima. A spingerlo al barbaro femminicidio più che un raptus la rabbia di aver visto sfumato il matrimonio con la relativa garanzia della cittadinanza.

Da qui l’appostamento all’androne e poi la furia scatenata con 56 coltellate.

La procura di Roma aveva ricostruito così il movente dell’omicidio. “L’imputato sperava nel proseguimento della relazione, si era ipotizzato un matrimonio che consentisse la regolarizzazione della posizione”, la ricostruzione della procura.

Ad arrestare l’assassino gli investigatori della Squadra Mobile che hanno raccolto  testimonianze di alcuni residenti, compresa quella della madre della vittima, che lo collocavano proprio sul luogo del delitto.

Delle immagini di videosorveglianza avevano immortalano Harrati non distante dal palazzo di via Giuseppe Allievo e anche il suo telefonino era stato agganciato nella zona.

I poliziotti lo avevano fermato in stato confusionale nell’appartamento di Torrevecchia che divideva con due coinquilini. Al primo interrogatorio, il silenzio.