Dietro ai resti del relitto della nave, si nasconde anche il mistero del porto di Alsium e le antiche rotte commerciali
Marina di San Nicola a Ladispoli, chiamata anche “scrigno del Tirreno”, è veramente la culla di un tesoro nascosto che rappresenta anche un enigma millenario. Nelle profondità sabbiose di questa affascinante località laziale, giace infatti un relitto di inestimabile valore storico: una nave romana o etrusca, che come un fantasma, riemerge periodicamente dalle onde, solo per scomparire nuovamente sotto la superficie.
Un ritrovamento fortuito nel 1956, coltivò il mistero. Era l’8 maggio quando, secondo la sapiente ricostruzione che ne ha fatto Simone Grosso nella sua pubblicazione “Ipotesi sul porto etrusco di Alsium tra recenti acquisizioni e prospettive future”, l’antiquario Corrado Castagni Cavour segnalò il rinvenimento dei resti di una nave, nei pressi della foce del Fosso Cupino.
L’eccezionale scoperta suscitò grande interesse tra gli esperti, che subito ipotizzarono un legame con l’antico porto romano della zona.
Furono le analisi sommarie che vennero effettuate sul relitto, a rivelare una struttura in legno di rovere e parti metalliche. Elementi che suggerivano si trattasse, come sottolinea Grosso, di un’imbarcazione di notevole importanza, a partire dalla sua posizione strategica, che sembrava confermare l’ipotesi di un antico porto etrusco e poi romano, un punto nevralgico per gli scambi commerciali dell’epoca.
Nonostante le numerose ricerche e le ipotesi formulate, il mistero che avvolge la nave di Ladispoli rimane però ancora irrisolto. Come affermato nella studio di Grosso: “La missione archeologica a Pyrgi della Sapienza aveva intenzione di programmare, d’intesa con la Soprintendenza competente, eventuali interventi di scavo mirati” – scrisse lo studioso, ma la cosa non avvenne. Perché?
Eppure le mareggiate, che periodicamente riportano alla luce frammenti del relitto, offrono nuovi indizi che meriterebbero l’avvio di una campagna di scavo per la tutela e la valorizzazione del relitto, che rappresenta ancora oggi una sfida, come sottolinea Enzo Paliotta.
Secondo l’ex sindaco di Ladispoli che ha studiato a fondo l’argomento, i problemi per far partire l’impresa potrebbero essere vari: “La mareggiata che ha riportato alla luce i resti lignei – spiega Paliotta -, è stata anch’essa la combinazione di una serie di fattori, in tal caso fortuiti: la mareggiata, la bassa marea, la deviazione del corso del Cupino, che hanno abbassato molto il livello della spiaggia. Sono bastate poche ore però, perché tutto tornasse come prima. Proprio questa scarsa presenza del relitto emerso, forse, e la possibilità che si tratti di una imbarcazione minore e meno interessante, non ha mai dato avvio ad una campagna di scavo specifica, rispetto ad un’altra avvenuta nell’etroterra del Cupino. Il sito però, è stato sempre sottovalutato, e meriterebbe studi approfonditi proprio per la vicinanza con la villa romana” – conclude Paliotta.
La scoperta di nuovi reperti archeologici a Ladispoli secondo Paliotta, merita per altro di riprendere il dibattito degli esperti iniziato prima del 1956, e che sostanzialmente muove dalla domanda: dove si trovava esattamente l’antico porto di Alsium, una delle città più importanti dell’Etruria?
L’esistenza del porto etrusco ad Alsium è accertata, ma la sua esatta ubicazione è ancora oggetto di studio e controversia. A differenza di altri siti archeologici, come Pyrgi, dove le stratificazioni storiche sono evidenti, ad Alsium il quadro è più complesso e sfuggente.
Sin dal XVI secolo, gli studiosi si interrogano sulla posizione esatta di questo antico approdo. Due ipotesi principali si sono contrapposte nel corso dei secoli come spiega Paliotta: una collocava il porto sotto l’attuale Posta Vecchia, mentre l’altra lo localizzava nei pressi della foce del Fosso Cupino.
Poi, le emersioni degli ultimi decenni, nel 1956, nel 1972 e infine del 2024, dei probabili resti di una nave etrusca o romana unite agli studi di esperti come Flavio Enei e il più recente lavoro universitario di Simone Grosso, sembrerebbero ora avvalorare la seconda ipotesi.
E’ stata l’emersione dei resti del relitto, avvenuta dopo 50 anni qualche giorno fa, a riaccendere l’esigenza sentita anche dai residenti di intensificarne gli studi e le ricerche, e l’interrogativo sul perché la ricerca si sia interrotta anziché tentare di acquisire un bene fruibile, e preziose informazioni sulle relazioni tra le diverse città etrusche e romane e sui traffici marittimi del Mediterraneo.
E’ indubbio che il mistero del porto di Alsium rappresenti un’affascinante quanto complessa sfida per gli archeologi, ma anche se una campagna di scavo comporterebbe delle spese ingenti, sarebbe fondamentale continuare a investire in ricerche in questa area, al fine di svelarne i segreti ancora nascosti sotto la sabbia.