Lo chef trasloca e lascia il suo ristorante: “Ostia affoga nel degrado, impossibile lavorare”.

Chef Simone Curti chiude il suo ristorante Molo Diciassette e dipinge un quadro inquietante su una crisi che ha le sue radici anche nel degrado del litorale romano

Un’acqua marina limpida e un lungomare che cade a pezzi. La cornice di una città dormitorio sempre più snobbata anche da chi la frequentava per i suoi ristoranti affacciati sul Tirreno, oppure aperti nei vicoli popolati dalle case Art decò costruite sul Lido dagli architetti del barocchetto romano. Simone Curti, 47 anni chef da una vita, nato a Ostia anche dal punto di vista professionale, conosce bene la storia della ristorazione locale.

Chef Simone Curti chiude il suo ristorante Molo Diciassette e dipinge un quadro inquietante su una crisi che ha le sue radici anche nel degrado del litorale romano

E’ con rammarico che lo chef lancia un allarme e avverte: “ormai a Ostia si lavora solo nel fine settimana. Non sembra neppure che Roma abbia un suo mare mentre quest’estate Torvaianica, Fiumicino e Fregene viaggiavano a gonfie vele”.

Fiumicino con la sua ruota panoramica. Ostia con i flutti che hanno divorato gli stabilimenti della zona di Levante. Lo chef Simone Curti con il Molo Diciassette, un ristorante di pesce da 36 coperti in via dei Lucilii e che suo malgrado ha dovuto chiudere “perché”, spiega, “a prescindere dal fatto che potessi trovarmi in un vicoletto che non era di passaggio. Facevo il pieno soltanto il sabato e la domenica, mentre negli altri giorni della settimana tutto si arrestava. Nessun appeal per un’estate romana che su Ostia non è mai stata così triste e desolata. Non vogli credere che sia solo incompetenza -aggiunge precisando di non credere al complottismo- ma non mi sembra che il Comune di Roma faccia tutto il possibile per ridare al Lido la vitalità che merita”.

Nessuna manifestazione, nessun appeal, giardini e aiuole in stato di completo abbandono. Eppure quando ero più giovane e avevo un pub che si trovava verso Santa Monica lavoravo anche di notte. Il Lido aveva una fama peggiore di quella di oggi ma c’era movimento. Adesso nel weekend mandi via anche 40/50 persone ma, in mezzo alla settimana non arrivi a quattro coperti. Non ne valeva più la pena. Ho messo tutta l’attrezzatura in un magazzino e mi prendo un periodo di riposo. Poi si vedrà”.

Non c’è amarezza nelle parole dello chef che, forse, tornerà per un periodo a fare il dipendente perché sulla piazza romana ma anche su quella straniera è molto richiesto. C’è sicuramente una rabbia repressa nei confronti di chi avrebbe i mezzi per dare nuovo respiro al litorale e invece lascia che affondi nel suo degrado.

Ricordo Torvaianica negli Anni Novanta simile a un paesino dell’ultima frontiera con i cespugli spinti dal vento sulle strade vuote come nei film western e adesso fa il pienone. Anche la questione del rinnovo delle concessioni balneari, lasciate nell’incertezza perenne dei mancati rinnovi, rappresenta un ostacolo che si riflette su tutto l’indotto, ristorazione compresa. Se devono essere ritirate che le ritirino e poi diano certezze agli imprenditori che non si arrischiano certo a investire per migliorare strutture che possono perdere dall’oggi al domani. Non ci vuole un genio -puntualizza Simone- per capire queste cose”.

Il motore di Ostia è nel suo Lungomare

Il motore di Ostia è il suo lungomare e se quello non funziona non c’è rimedio che tenga perché gli incassi significativi non vengono né dai residenti né da chi vive nelle località situate nell’entroterra a ridosso delle spiagge. Eppure Molo Diciassette presentava un menù di ottima qualità a prezzi accessibili. “Cambiavo i piatti ogni tre mesi e lavoravo solo prodotti di stagione preparati con il pescato locale che acquistavo all’asta di Fiumicino” aggiunge lo chef. E la sua, oltre a essere un “marchio di fabbrica” è stata anche una scelta gastronomica ispirata da criteri ben precisi.

Lo chef trasloca e lascia il suo ristorante: “Ostia affoga nel degrado, impossibile lavorare”. 1

Il primo dei fattori da considerare è che il pesce del Mediterraneo, sottolinea Simone Curti, “è più buono ed è anche per questo che costa di più di quello imballato che viene spedito dall’estero e arriva ugualmente fresco sul mercato nazionale. Nel mare nostro c’è un ecosistema chiuso in cui l’acqua è più salata di quella dell’Oceano e fa sì che il prodotto sia più appetibile e più saporito rispetto a quell’altro. Certo ce n’è anche di meno, non solo per la domanda molto elevata, ma anche per l’uso scellerato che è stato fatto delle reti a strascico e per la mancata osservanza dei periodi di fermo biologico. Questo lo si capisce, per esempio, dal fatto che quando andavi dal grossista vent’anni fa ti regalavano una cassetta di pannocchie che adesso ti vendono a 12 euro al chilo”.

Ma il segreto della cucina a base di pesce è anche nel far capire alla clientela che cosa stia mangiando anche perché pochissimi hanno questa consapevolezza e, tante volte, ciò che si pensa di aver risparmiato una volta usciti da un locale è frutto di una minor qualità di ciò che si è consumato.

La ristorazione -continua lo chef- funziona a tutti i livelli. C’è spazio per tutti e per tutte le tasche. Dalla trattoria al ristorante stellato ma l’importanza è di essere a conoscenza di quello che si consuma. Il gambero argentino rosato grande viene 11 euro al chilo, mentre quello nostrano tra i 55 e i 70 per una questione di qualità ma solo un occhio esperto riesce a cogliere la differenza tra i due quando il prodotto è stato cucinato”.

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Risvegliare le notti in un quartiere trasformato in dormitorio

Intanto Ostia si avvia a una nuova stagione invernale. E in giornate come quella di oggi, caratterizzata da un sole quasi primaverile accarezzato da un vento freddo proveniente da nord, è andata in scena una tendenza ormai consolidata. I locali di nicchia tendono a scomparire di fronte a quelli situati negli stabilimenti che riescono a coprire duecento coperti durante una domenica di bel tempo e vanno avanti ugualmente anche se le serate sul Lido continuano a essere deserte.

Vuote come lo sono state durante un’estate in cui, a stagione quasi finita, il Campidoglio nonostante il tempo avuto a disposizione è riuscito ad autorizzare, dopo una trattativa con Confesercenti, appena l’apertura di due discoteche sul litorale romano. Tra l’altro con l’unica consolazione che gli appassionati di luci psichedeliche avrebbero potuto ballare esclusivamente nelle strutture balneari dell’Elmi e del Venezia fino alle tre di notte.

E’ troppo poco e proprio per questo, ribadisco, che se non c’è incompetenza dietro a tutto questo deve esserci un disegno. E’ vero che il litorale avrebbe, per esempio, bisogno di aumentare il numero delle strutture ricettive nel settore alberghiero ma chi si è mai occupato di promuoverne l’immagine turistica in modo adeguato? Quante ricchezze il Lido possiede da valorizzare, non ultimo il sito archeologico di Ostia Antica, ma non vengono promosse come si dovrebbe?”, si chiede Simone Curti.

Lo chef sottolinea, infine di aver ricevuto offerte professionali anche dall’Australia ma è troppo attaccato alla sua Ostia per fare le valigie e andarsene. Anche perché qui vivono i suoi due figli: un maschio di 19 e una femmina di 17 che gli hanno dato anche una grossa mano quando era aperto il Molo Diciassette ma che, al pari di molti coetanei, non vedono il loro futuro dietro i fornelli di una cucina.

Cucina che è sempre aperta quando gli altri festeggiano e che lavora a pieno ritmo di venerdì, sabato e domenica quando la maggior parte delle persone escono per godersi riposo e tempo libero magari di fronte a un bel piatto di spaghetti alle vongole.

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