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Avvocato Daria Proietti, maternità surrogata: tutte le novità introdotte dalla legge che la eleva a reato universale

Intervista con l’avvocato Daria Proietti sul principio già fissato nel 1942 che anima la dichiarazione di illegittimità della maternità surrogata, considerata reato universale

Da mercoledì 16 ottobre scorso la maternità surrogata è un reato universale. Lo ha stabilito una specifica legge approvata definitivamente al Senato con 84 voti favorevoli e 58 contrari.

Intervista con l’avvocato Daria Proietti sul principio già fissato nel 1942 che anima la dichiarazione di illegittimità della maternità surrogata, considerata reato universale

Per maternità surrogata si intende la gestazione per altri ovvero quando una donna porta avanti una gravidanza per conto di altre persone, alle quali consegnerà il nascituro. Già prima della dichiarazione di reato universale, la legge puniva “chiunque realizza, organizza o pubblicizza la gestazione per altri e il commercio di gameti o embrioni” con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro. La nuova legge estende questa pena anche a chi pratica la maternità surrogata nei Paesi in cui è consentita.

Abbiamo chiesto a Daria Proietti, avvocato del Foro di Roma, di fare per i nostri lettori una distinzione strettamente giuridica tra fecondazione assistita, che non è punita dalla legge, e maternità surrogata, considerata ora reato universale.

Intanto, è evidente che non ci troviamo di fronte a una nuova legge ma a una estensione della sua applicazione…

Lasciamo da parte le prese di posizione politiche, Meloni si, Meloni no, Schlein forse, mezze vie al centro e giù dicendo: sono tutte espressioni che non servono a sciogliere i problemi ma, anzi, distolgono l’attenzione del comune cittadino dalla reale questione – di tipo strettamente giuridico – a cui normalmente l’uomo medio non è avvezzo. Andando per ordine scopriremo che il Governo Meloni, nel bene e nel male, non si è inventato nulla di nuovo. Forse non tutti sanno, infatti,  che in Italia vige un precetto giuridico contenuto nell’art. 269 comma 3 del codice civile varato nel 1942 che parla chiaro: la maternità è dimostrata provando la identità di colui che si pretende essere figlio e di colui che fu partorito dalla donna, la quale si assume essere madre”.

L’avvocato Daria Proietti

Non crede che questo principio in ottanta anni di applicazione, anche in presenza di progressi tecnologici, sia entrato in crisi?

L’ordinamento giuridico italiano fa transitare la presunzione di maternità naturale per la nascita, cioè per quel fatto giuridico determinato dal parto della donna che si assume essere madre del soggetto che pretende di essere riconosciuto come figlio. Cioè se Tizio vuole essere riconosciuto come figlio di Caia, quest’ultima deve almeno averlo partorito. Perché “almeno”? Il legislatore del 1942 – mente evidentemente razionale ed essenziale – riteneva che la donna non potesse partorire un figlio che non fosse suo e ciò anche in ragione del retaggio del più ampio e tetragono principio del “mater semper certa est”. Ma non considerava il progresso (o presunto tale) quale fenomeno in grado di creare un vulnus in questo elementare principio che, nel tempo, è entrato in crisi. Negli anni le cose si sono complicate e insieme semplificate, poiché a far fronte alle difficoltà della procreazione naturale sono giunte in soccorso pratiche ormai ampiamente riconosciute di fecondazione assistita, sia omologa che eterologa, largamente diffuse nel nostro Paese a sostegno della natalità e del diritto alla genitorialità (ammesso che possa esistere un diritto ad una posizione giuridica ancora non esistente, sebbene assolutamente comprensibile sul piano umano e relazionale di coppia)”.

Ma la fecondazione eterologa, ovvero l’impianto nell’utero della gestante di ovociti da un’altra donna fecondati, non può considerarsi anch’essa una pratica che snatura, almeno geneticamente, la maternità?

Oggi una coppia in cui uno dei due partner è evidentemente sterile può ricorrere alla fecondazione eterologa, inizialmente espunta dalla L. 40/2004, ma che a seguito della sentenza n. 162/2014 della Corte costituzionale che dichiarava l’illegittimità costituzionale del divieto di fecondazione eterologa medicalmente assistita, oggi ha pieno diritto di cittadinanza e con buona pace per tutti. A fronte di chi sostiene che in caso di ovodonazione (fecondazione eterologa ex latere materno) non ci sarebbe molta differenza con l’utero in affitto o gap, in quanto la madre riconoscerebbe un figlio geneticamente non suo, non può non opporsi un netto dissenso. Nella fecondazione eterologa la donna che si sottopone ad ovodonazione è e diventa madre naturale a tutti gli effetti con pieno rispetto del dettato normativo insito nell’art. 269 c.3 di cui sopra; certamente ella non sarà madre genetica, ma per certo sarà madre biologica (cioè che genera vita) e naturale. Ciò non accade nella gpa e tale pratica è senz’altro violativa del diritto interno dal 1942 oggi ed è stata considerata tale anche dopo la riforma del 1975 del diritto di famiglia, ben lontana ideologicamente dal pensiero dell’attuale governo. Il principio basilare, dunque, per il legislatore è l’evento parto, evento naturale, per attribuire una maternità giuridicamente definita”.

E la nuova legge può arrogarsi il diritto di punire in Italia chi questo cosiddetto reato0 universale della maternità surrogata lo commette fuori dall’Italia?

L’illegalità dell’utero in affitto, non è una trovata dei tempi che corrono, non è atto di posizione dell’attuale politica di destra, non è esclusiva di questo o quel governo, ma affonda le proprie radici in oltre 80 anni di storia giuridica e senza che vi sia stata alcuna soluzione di continuità al succedersi di maggioranze politiche o ideologiche. E la legge 40/2004 insieme al Codice civile del 1942 hanno mantenuto quella distanza netta dalla gpa. Dato per certo che il Governo Meloni non si è inventato nulla di nuovo, se oggi si arriva addirittura ad introdurre il concetto (giornalistico/mediatico) di “reato universale” anche in tal caso è ben difficile pensare che il Governo abbia tecnicamente creato una fattispecie penale nuova. E’ lo stesso codice penale (del 1930 prima, 1988 poi, ecc..) a stabilire che il cittadino il quale “commette in territorio estero un delitto per il quale la legge italiana stabilisce la reclusione non inferiore nel minimo a tre anni, è punito secondo la legge medesima, sempre che si trovi nel territorio dello Stato”. Ragione in più per smascherare il reato universale nell’applicazione sistematica dell’art.9 del codice penale. Se leggiamo il dettato del Disegno di legge Varchi, approvato alla Camera nel 2023 e approvato dal Senato che recita testualmente “Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro”, a cui si aggiunge un paragrafo per cui “se i fatti di cui al periodo precedente, con riferimento alla surrogazione di maternità, sono commessi all’estero, il cittadino italiano è punito secondo la legge italiana” si capisce tanto. Nulla di più didattico sul piano giuridico – formale dell’accostamento tra un reato già esistente (previsto nella legge 40/2004) all’art.9 del codice penale che in quanto principio generale prevede la punibilità per il reato commesso all’estero dal cittadino che rientra in Italia. Non ci vedo un grande intelletto giuridico né alcuno sforzo legislativo particolare, però il compito a casa è stato svolto. E diversamente non poteva esser fatto”.