Il sindacato punta l’indice sul caso del Garante dei Detenuti contro i trattamenti discriminatori nel rilascio dei permessi riservati ai detenuti
Due pesi e due misure. Per il segretario generale del Sindacato di Polizia Penitenziaria (S.PP.), Aldo di Giacomo, non ci sono dubbi. La sua denuncia riguarda la disparità di trattamento riservata al fratello del Garante dei Detenuti, Maurizio D’Ettore, morto prematuramente il 22 agosto scontro e che non potrà partecipare alle esequie in virtù di una condanna penale da scontare in carcere rispetto al permesso concesso all’ergastolano, Chico Forti che, dopo il suo trasferimento in Italia, ha già potuto incontrare la madre fuori dalle sbarre.
Chico Forti, estradato dagli Stati Uniti su iniziativa del governo italiano, pur essendosi sempre dichiarato innocente, dovrà continuare a scontare in Italia la pena dell’ergastolo inflittagli oltre Oceano, così come stabilito dal tribunale di Trento nello scorso mese di aprile. Mentre Pasquale D’Ettore, fratello del Garante, sarà definitivamente scarcerato tra due mesi.
Di qui la nota di denuncia del rappresentante sindacale che, in una nota, fa notare che Forti “è stato accolto come una star al rientro” nel nostro Paese e gli è stato “permesso in tempo record di lasciare il carcere per incontrare la madre”. Mentre “a Pasquale D’Ettore è stato invece negato di essere presente in una circostanza di grave dolore familiare e per giunta, ripeto, sapendo che ad ottobre tornerà in libertà. Siamo al più classico dei casi” di un’applicazione iniqua delle norme di diritto vigenti in materia.
“Mi aspetto adesso almeno qualche giustificazione per spiegare come mai”, incalza Di Giacomo.
“Non è in alcun modo giustificabile -prosegue il segretario generale- un sistema giudiziario bifronte che getta sfiducia sull’operato del personale penitenziario al quale lo Stato chiede il massimo rispetto dei regolamenti sino a pagarne direttamente le conseguenze, come riprova l’alto numero dei 250 provvedimenti disciplinari applicati nei confronti degli agenti, mentre si allargano le ‘maglie’ a beneficio di reclusi con condanne per reati anche gravi”.
Senza contare che, stando alle rilevazioni aggiornate allo scorso anno, i detenuti ultra settantenni in carcere in Italia hanno dai 70 anni in sù e che sono 1208, tra cui 38 donne, e alcune decine i detenuti ultraottantenni.
“Non può essere questo il sistema giudiziario di un Paese civile e democratico mentre -conclude Di Giacomo- al personale penitenziario è chiesto di fare il proprio dovere a costo di rischiare l’incolumità personale”.