Il caso di Alice Sebesta, come i bambini potevano essere salvati. La verità nella perizia che inchioda la psichiatra
Una valutazione psichiatrica avrebbe messo al riparo i bambini dalla madre. A 6 anni dal duplice omicidio di Faith, 6 mesi e Divine di 19 – scaraventati dal terzo piano del nido di Rebibbia dove la madre, Alice Sebesta, era detenuta per droga – arriva il primo punto fermo su eventuali responsabilità.
Elementi che pesano sulla posizione della psichiatra del carcere sotto processo a piazzale Clodio per non essersi presentata a visitare la detenuta – delirante e sbadata coi figli – nonostante due solleciti rivolti dalla direzione di Rebibbia. Omissioni che le sono valse l’accusa di omicidio colposo.
La perizia disposta dal giudice Valeria Ciampelli per conoscere se “i bambini potevano essere salvati con un intervento adeguato sulla madre” e firmata dallo psichiatra forense Stefano Ferracuti e dal medico legale Mariarosaria Aromatario sono state appena depositate e confermano l’ipotesi accusatoria contro la psichiatra che non svolse il suo lavoro.
Il primo punto: per la detenuta fuori controlli (gridava come essessa, faceva i bisogni nel bidè, si rifiutava di fare le pulizie era sbadata coi figli) non erano sufficienti i colloqui con lo psicologo del carcere.
Secondo: sarebbe servito l’esame dello psichiatra dell’istituto carcerario per formulare la diagnosi di malattia mentale della madre, una trentenne tedesca arrestata a Roma perché trovata coi bambini e 10 chili di marijuana e dall’età di 16 anni ricoverata quattro volte in un ospedale psichiatrico, circostanza allora ignorata a Rebibbia.
La conclusione dei periti agghiacciante: “Una diagnosi di psicosi nella signora Sebesta avrebbe consentito di porre i minori in sicurezza”. “La mancata esecuzione di una consulenza psichiatrica rappresenta una condotta omissiva senza dubbio censurabile”, la conclusione.
“Una valutazione psichiatrica approfondita – scrivono i periti – avrebbe individuato la patologia psichiatrica cui risulta affetta la Sebesta, perché grazie alla propria formazione avrebbe potuto riconoscere i sintomi del disturbo psichiatrico in essere: schizoaffettivo e abuso di sostanze”.
Gli omicidi risalgono al 18 settembre 2018. La donna sin all’ingresso a Rebibbia (tre settimane prima) aveva lamentato l’arresto come “una macchinazione della mafia per portarle via i figli perché belli”, poi li ha trascurati, lasciati senza cibo o costretti a mangiare riso che riponeva per giorni in un armadio, tanto che anche delle detenute rom avevano più volte segnalato agli agenti della penitenziaria il rischio per i bambini.
“I sintomi più comuni del disturbo schozoaffettivo – aggiungono Ferracuti e Aromatario – includono: allucinazioni, deliri, comportamento maniacale, problemi sociali e lavorativi, mancanza di cura della persona, tutti elementi presenti dal giorno di accesso della Sebesta in carcere fino ai giorni precedenti all’evento omicidiario”.
Proprio per la sua malattia mentale la mamma assassina è stata assolta dall’accusa dell’aver ucciso i suoi bambini perché incapace di intendere e volere e associata ‘solo’ per 15 anni in un ospedale psichiatrico per la sua pericolosità.
A processo ora c’è la psichiatra che non l’ha visitata nonostante i due solleciti (il terzo è stato firmato il giorno dell’omicidio dei due bambini”.
Nessun dirigente del carcere invece è mai finito neanche indagato. Nonostante i segnali e le segnalazioni i bambini erano rimasti affidati alla madre fuori controllo, nonostante alternasse momenti di lucidità e delirio. L’unica accortezza attivare per una settimana il regime di “grande sorveglianza” (controllo rigido della polizia penitenziaria) per la donna.
Una settimana che non è bastata per mettere al riparo i bambini. Dopo l’arresto la confessione della mamma assassina: “Non sono stupida conosco questo posto. Ho cercato un posto dove buttare i bambini perché certamente vanno in cielo…. Li ho mandati a Dio, io sono una mamma. Non voglio che li distruggano in questo modo”.
Pensava che la mafia avrebbe consegnato i figlioletti ai pedofili. Poi era emerso il suo passato: un tentativo di suicidio da adolescente, la dipendenza smodata da marijuana, il sentirsi a tratti la reincarnazione di Gesù.
Il risultato: nessuno è riuscito a proteggere due bambini finiti in carcere senza colpa