Esplosione di sapori nell’Aula magna dell’Università Roma 3 per il convegno sulla cucina borbonica campana

Aula magna gremita a Ostia per il convegno “Quale futuro per la cucina borbonica campana”. Assalto finale alla degustazione dei piatti tipici arrivati a noi dal Regno delle Due Sicilie

A cavallo della storia alla scoperta delle nostre radici gastronomiche. E’ così che si scopre che la famosa dieta mediterranea, punto forte dei sapori e della salubrità italiana a tavola, ha i suoi natali in un preciso periodo della nostra storia e in un’area ben circoscritta: l’era borbonica nel Regno delle due Sicilie.

Aula magna gremita a Ostia per il convegno “Quale futuro per la cucina borbonica campana”. Assalto finale alla degustazione dei piatti tipici arrivati a noi dal Regno delle Due Sicilie

C’è voluto un affollato convegno tenutosi oggi, venerdì 17 maggio, presso la prestigiosa sede dell’Università Roma Tre di Castelfusano per conoscere origini, curiosità e persino ricette della nostra cucina. Anzi, della cucina napoletana resa famosa nel mondo da influencer e tiktoker piuttosto che dagli chef più apprezzati. “Quale futuro per la cucina borbonica campana”: questo il tema sul quale hanno ruotato gli interventi dei relatori e ha scatenato i sapori nelle degustazioni del dopo-convegno. A organizzare l’associazione “Campani in Tiberi” e l’associazione Bpm1865.

Esplosione di sapori nell’Aula magna dell’Università Roma 3 per il convegno sulla cucina borbonica campana 1
L’Aula magna dell’Università Roma Tre di Castelfusano gremita in ogni ordine di posti

Presso il microfono dell’Aula magna si sono alternati il professor Luigi Compagna, già professore ordinario di Storia delle dottrine politiche alla Luiss e quattro volte parlamentare (Origini e storia del Regno Borbonico delle Due Sicilie), il professor Livio Ciappetta, docente di Didattica della storia presso Unicusano e coordinatore all’Alberghiero di Castelfusano (Le proibizioni alimentari nel Regno Borbonico), la professoressa Loreta Grande nutrizionista e docente di Scienza dell’Alimentazione (Come valutare l’aspetto nutrizionale della cucina borbonica) e il dottor Giovanni Bianchini, già DG Vicario della Banca Popolare di Milano (Cambiamenti climatici: cause ed effetti).

Le pietanze campane nell’era borbonica

Ricchissima l’aneddotica snocciolata durante i vari interventi. Per esempio che l’invenzione della forchetta a quattro punte si deve al monsù (cuoco) di re Ferdinando I: ghiotto di maccheroni (ovvero degli spaghetti) e stanco di mangiarli con le mani, ordinò la realizzazione della posata. A re Ferdinando II si deve la valorizzazione della pasta di Gragnano, l’uso del soffritto, la diffusione della pizza e della mozzarella. Non è un caso che la mozzarella in carrozza viene cucinata per la prima volta sotto il regno dei Borboni: era il modo di recuperare, attraverso la frittura, la mozzarella non più freschissima e il pane raffermo che veniva grattugiato.

A proposito di frittura, lo street food nasce proprio a Napoli con il regno borbonico. Lo racconta anche J. W. Goethe nel suo Gran Tour a proposito di Napoli e del legame con la cucina. Scrive il poeta nel 1787: A Napoli “Non v’è stagione in cui non ci si veda circondati da ogni parte da generi commestibili; il napoletano non solo ama mangiare ma esige pure che la merce in vendita sia bellamente presentata”.

La cucina partenopea sotto il regno borbonico, è una fusione tra quella francese e le usanze locali, specie nel consumo di verdure “degli orti del Vesuvio. Ne è un esempio classico la minestra maritata, una zuppa composta da carni, salumi e verdure. Il ragù, originario dalla Francia (contrazione dal francese ragoutant ovvero appetitoso, invitante), trova in Campania un sublime connubio con i pomodori San Marzano. Meno apprezzato inizialmente (tanto da essere considerato dai locali uno “sciacquapanza”) è il Sartù di riso, una pietanza importata e rivista che si radicalizzerà nelle feste pasquali: la sua denominazione deriva dal francese sur-tout (sopra tutto).

E di impronta francese ma ben accolte invece dai napoletani, sono anche le polpette, se non altro per l’origine etimologica: in francese paupiere è la palpebra, aspetto al quale si richiama la carne tritata nella preparazione delle polpette.

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Sergio Adimari, uno degli organizzatori del convegno, con a destra Arturo Cannavacciuolo, rappresentante della Real Casa dei Borboni

La diatriba sull’origine degli arancini, che si tendono ad accreditare alla Sicilia, nella Napoli borbonica viene risolta con la creazione delle palle di riso, del tutto simili anche negli ingredienti. Resta invece ancora in piedi la discussione su dove sia nata la parmigiana: in Sicilia, a Napoli o a Parma? Di certo si sa che le prime preparazioni impiegavano zucchine e non melanzane.

Di sicura provenienza napoletana e proprio nel periodo del regno borbonico sono i polpi alla Luciana: sono tipici dei pescatori che vivevano nel borgo marinaro di Santa Lucia. Che la lasagna sia nata a Napoli non tutti sono concordi: di certo uno dei suoi massimi estimatori era Francesco II di Borbone, soprannominato proprio Re Lasagna. A Pasqua nel periodo del Regno delle Due Sicilie si affermò anche un altro piatto che si prepara tuttora: la pizza chiena. E un omaggio alla regina è anche una preparazione particolare (con pasta sfoglia farcita) della pizza, la pizza parigina: non significa che viene da Parigi ma che era cucinata pe-a-regina.

C’è chi accredita la nascita degli gnocchi nel napoletano ai tempi dei Borboni. Prima di scoprire la duttilità delle patate, i campani li preparavano con mollica di pane ammollata nel latte e mandorle tritate. Di sicuro i napoletani borbonici inventarono gli gnocchi di patate ripieni di mozzarella accompagnati dalla zuppa di scampi.

I dolci

Della preparazione di due dolci tipici si hanno notizie durante il regno borbonico: il babà e la pastiera. Il babà sarebbe stato importato dalla Francia e subito ben voluto dai campani. La leggenda vuole che all’origine fosse un dolce polacco portato dallo zar in esilio a Parigi. In un attacco d’ira il nobile polacco fece rovesciare una bottiglia di rum sul dolce che si inzuppò dando vita al babà. Riguardo alla pastiera napoletana, la leggenda fa risalire questa preparazione addirittura all’epoca pre-romana quando a primavera la gente del posto recava in dono alla sirena Partenope alimenti simbolici quali la farina, la ricotta, le uova, il grano cotto nel latte, fiori d’arancio e zucchero. La ricetta sarebbe stata poi codificata nel sedicesimo secolo da una suora del convento di San Gregorio Armeno, a Napoli.

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Il buffet dei dolci

Il menù

Gli organizzatori (Michele Bove di Campani in Tiberi insieme con Sergio Adimari e Pasquale Maidecchi della Bpm 1865) hanno curato in particolar modo la degustazione finale che è stata particolarmente gradita dagli oltre duecento ospiti che hanno preso parte al convegno. Tutte d’impronta decisamente campana le pietanze servite al buffet: lasagna napoletana, frittata di pasta, polpette al sugo, arancini, casatiello, babà e sfogliatelle. Il tutto gustato con i vini imperiali della cantina avellinese Montesole.