Il fenomeno dello sharenting: quando pubblicare contenuti social dei propri figli è dannoso (VIDEO)

La pratica di pubblicare contenuti della vita genitoriale sui social porta delle forme effimere di gratificazione ma mette a repentaglio l'identità e la salute psichica dei figli

Un feonomeno estremamente pericoloso e di recente nascita, manifestatosi con l’avvento dei post a raffica, dei social e del web, è quello che in inglese è definito dalla parola composta “sharenting”, nata dalla fusione di “to share,” “condividere” e “parenting”, “genitorialità – vita genitoriale” e rappresenta la tendenza dei  genitori a postare sui social immagini dei propri figli, a volte in maniera pericolosa e scriteriata.

La pratica di pubblicare contenuti della vita genitoriale sui social porta delle forme effimere di gratificazione ma mette a repentaglio l’identità e la salute psichica dei figli

Un dato evidenzia il grande proliferare nel web del fenomeno: si stima che in media ogni anno un genitore europeo condivide 300 foto dei propri bambini.

Diventando quindi estremamente celebri, noti ed esposti per via della miriade di loro immagini messe su internet dai loro genitori, alcuni minori, fin da piccolissimi, finiscono col diventare dei veri e propri baby influencer.

Partendo da questo presupposto, per arginare e regolamentare il fenomeno dello sharenting, poche settimane fa è stata presentata a Montecitorio una proposta di legge.

Ma quali sono le ripercussioni a cui andranno incontro i bambini coinvolti? Cosa rischiano dal punto di vista psicologico?Perché i genitori hanno questa necessità?

Tutte queste domande le abbiamoi approfondite con la dottoressa Francesca Cardini.

La dottoressa suddivide i genitori in categorie in base alla loro reazione riguardo allo sharenting: “C’è una prima categoria di genitori che sono essenzialmente ingenui cioè non hanno quella percezione dei confini effettivi all’interno dei quali stanno pubblicando dei contenuti della loro vita privata”.

Riguardo a questa categoria, la dottoressa specifica: “Questo tipo di categoria di genitori, diciamo, è quella che quando viene messa al corrente dei possibili rischi del proprio comportamento fa un passo indietro. Poi ci sono i genitori, diciamo, resistenti, cioè negano essenzialmente o minimizzano”.

Perchè i genitori praticano lo sharenting, la dottoressa Cardini lo spiega in questo modo: “La pubblicazione sui social porta delle forme di gratificazione che possono essere concrete come quelle monetarie, genitori che quindi monetizzano sui contenuti dei propri figli, ma possono anche essere solamente psicologiche”.

Il meccanismo dei like, ricorda l’esperta, può essere davvero nocivo:“Ricordiamoci che i like, le visualizzazioni nel nostro sistema nervoso rilasciano dopamina, che è quel neurotrasmettitore che entra in gioco, ad esempio, nell’assunzione della cocaina, quindi da dipendenza. Ci sono dei rischi purtroppo già appurati, appunto quello di finire del loro malgrado in siti del dark web, si sa che appunto sui siti pedopornografici il 50% dei contenuti proviene direttamente dai profili dei genitori”.

Spesso i ragazzi, una volta diventati più grandi, si trovano vere e proprie identità non volute, non create da loro ma dai genitori: “Una volta che il genitore ha già creato un’identità pubblica e digitale a suo gusto, che il bambino è diventato un pochino più grande, quindi adolescente, si ritrovi con un’identità pubblica già bella e costituita che lui non ha approvato”.

Tra i consigli della dottoressa Cardini ce ne sono alcuni molto utili per proteggere l’dentità online  dei propri figli fin da piccoli: “Sicuramente evitare di pubblicare foto dove mio figlio è in qualche modo nudo. Preferire quindi la condivisione di momenti con mio figlio dove però mio figlio non è visibile. E poi l’ultima, nelle interazioni quotidiane con il proprio figlio, posare il telefono, perché questo significa fargli il regalo più grande, che è quello di una presenza veramente autentica, gli state regolando voi stessi”.

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Servizio di Gabriella Rita Tesoro