Rossella Nappini uccisa con 56 coltellate dall’ex, il pm svela il movente

Prima udienza per il magrebino accusato dell'omicidio premeditato dell'infermiera Rossella Nappini

Adil Harrati e la vittima Rossella Nappini

Più che un raptus la rabbia di aver visto sfumato il matrimonio con la relativa garanzia della cittadinanza. La procura di Roma ricostruisce così il movente dell’omicidio dell’infermiera Rossella Nappini uccisa il 4 settembre scorso con 56 coltellate, a Trionfale, nell’androne del palazzo dove era tornata a vivere con la mamma.

Prima udienza per il magrebino accusato dell’omicidio premeditato dell’infermiera Rossella Nappini

L’ex compagno, Adil Harrati, il 45enne di nazionalità marocchina con cui aveva avuto una breve relazione di qualche mese, ora è a processo per omicidio premeditato.

L’imputato sperava nel proseguimento della relazione, si era ipotizzato un matrimonio che consentisse la regolarizzazione della posizione”, ha detto il pm Claudia Alberti.

“La chiusura della relazione, e dunque la vanificazione dell’intento dell’Harrati, è stato uno dei motivi dell’omicidio, un delitto commesso con 56 coltellate“.

Il magistrato nella prima udienza del processo per l’omicidio dell’infermiera in corso davanti alla prima Corte di Assise di Roma ha ricostruito così il movente dell’atroce delitto.

Le contestazioni

Nei confronti dell’imputato la pm Alberti contesta l’omicidio aggravato dalla premeditazione e dall’avere agito per motivi abbietti e futili, con crudeltà contro una persona “a cui era legato da relazione affettiva cessata“.

Nel processo sono stati ammessi come parti civili i figli, la mamma e la sorella della vittima e l’associazione ‘Insieme a Marianna’, rappresentata dall’avvocato Licia D’Amico, e l’associazione italiana vittime vulnerabili di reato.

La prossima e’ fissata per il 29 maggio: saranno sentiti in aula i poliziotti della Squadra Mobile che hanno condotto le indagini.

Le indagini

Le prove raccolte dagli investigatori della Mobile, oltre alle testimonianze di alcuni residenti, compresa quella della madre della vittima, collocherebbero l’uomo sul luogo del delitto.

Ci sono delle immagini, recuperate dagli impianti di alcuni sistemi di videosorveglianza che immortalano Harrati non distante dal palazzo di via Giuseppe Allievo dove si è consumato l’omicidio e i riscontri delle celle telefoniche che vedono il suo smartphone “agganciato” vicino all’area.

Il magrebino nell’interrogatorio di garanzia aveva scelto il silenzio. I poliziotti lo avevano fermato in stato confusionale nell’appartamento di Torrevecchia che divideva con due coinquilini.