Roma, maestra muore per le conseguenze del vaccino anti covid: 8 medici a rischio processo

I medici secondo la procura non sarebbero intervenuti con la cura adeguata dopo le complicanze del vaccino anti covid

Il vaccino astrazeneca
Un vaccino anti Covid. Foto di repertorio

Maestra muore dopo essersi sottoposta al vaccino anti Covid AstraZeneca, a due anni del dramma la procura chiude le indagini per omicidio a carico di 8 medici di un ospedale romano accusandoli di omicidio colposo. Secondo il pm titolare dell’inchiesta la morte di Stefania Cecca poteva essere evitata se individuate correttamente le complicanze.

I medici secondo la procura non sarebbero intervenuti con la cura adeguata dopo le complicanze del vaccino anti covid

La donna era  morta a 49 anni il 9 aprile 2021 per un’emorragia cerebrale e una trombosi dei seni venosi cerebrali, secondo l’autopsia, non diagnosticate in tempo e “conseguenti a vaccinazioni anti Sars Covid avvenuta 26 febbraio” dello stesso anno.

Ora otto medici dell’ospedale Sant’Eugenio rischiano di finire sotto processo per non aver valutato due complicazioni, la piastrinopenia e una embolia, sorte dopo la vaccinazione, che se diagnosticate in modo adeguato avrebbero aumentato le possibilità di sopravvivenza della donna.

Il pm Pietro Pollidori ha, infatti, chiesto il rinvio a giudizio dell’equipe medica del pronto soccorso nel quale l’insegnante si è recata appena ha avvertito i malesseri più forti. Era il 16 marzo del 2021,

A finire sotto inchiesta l’allora direttore del servizio, una ematologa e sei medici che hanno visitato la donna tra il 16 e il 20 marzo.

Le contestazioni

Secondo il magistrato i medici non avrebbero ipotizzato una “trombosi trombocinopenica nonostante la accertata diminuzione dei valori delle piastrine e l’evidente sintomo riferito nella visita del 16 marzo ossia cefalea a calotta, talché non veniva disposta la Tac e l’esame angiografico che avrebbe accertato la presenza di trombi”.

I medici, infatti, secondo l’accusa, avrebbero impostato una terapia anticoagulante inadeguata per la trombosi che “sarebbe stata invece individuata con i predetti accertamenti diagnostici, se effettuati”.

L’omessa diagnosi di emorragia cerebrale per la procura avrebbe ritardato almeno di “sei giorni l’intervento di decompressione della pressione intracranica che veniva effettuata solo successivamente al Policlinico Tor Vergata quando ormai si era verificato un decisivo peggioramento del quadro clinico”.

La denuncia

L’operazione era stata effettuata proprio al policlinico Tor Vergata, ma a tempo ormai scaduto per salvarla.

Il caso sarà sicuramente chiarito. Riteniamo che non ci sia nessuna responsabilità da parte del personale medico. Confidiamo in un proscioglimento in sede di udienza preliminare”, ha dichiarato l’avvocato Daniele Bocciolini, difensore di uno degli imputati.

Ad avviare l’indagine una denuncia presentata alla stazione dei carabinieri del Divino Amore dai familiari della donna.