Nel carcere di Lecce è morto Ferruccio Casamonica, ritenuto a capo del clan capitolino con base nella periferia est della Città Eterna, alla Romanina, e che a fine anno scorso aveva subito la condanna più grande all’interno di un maxi processo.
Ritenuto colpevole di associazione mafiosa nel dibattimento del processo denominato “Noi proteggiamo Roma”, era parente di Vittorio Casamonica, quello del celebre funerale che riecheggiava nello stile, volutamente, il kolossal “Il padrino”.
Ora è stata disposta, dopo la morte avvenuta ieri, martedì 12 marzo, l’autopsia sul corpo di Ferruccio Casamonica.
Il legale di Casamonica, Filardi, aveva chiesto ad ottobre di alleggerire la pena per il suo assistito, date le sue precarie condizioni di salute, gravato dal diabete e da demenza senile ad appena 73 anni.
Tuttavia a fine gennaio il magistrato di sorveglianza di Lecce aveva risposto di no, nonostante ben sapesse delle gravi condizioni di salute del detennuto, data la sua pericolosa natura criminale e “l’indubbio e grave rischio di condotte criminose di notevole allarme sociale”.
I guai, per 8 esponenti del clan Casamonica, tra i quali proprio Ferruccio, erano iniziati l’anno scorso, dove c’era stata per lui la condanna più alta – 25 anni – da parte della Magistratura, che in totale aveva emesso provvedimenti per ben 80 anni di carcere complessivi.
Come spiegato da Il Messaggero, la parabola discendente di Ferruccio Casamonica e il suo declino come capoclan era difatti iniziato a partire proprio dal maggio del 2019, quando l’uomo era stato incarcerato a seguito di una condanna definitiva a 5 anni di reclusione per associazione a delinquere finalizzata ad usura e ancora nel 2020, aveva ricevuto a suo carico anche un’ordinanza di custodia cautelare emessa dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Roma che in quell’occasione aveva colpito anche sua moglie Gelsomina Di Silvio, il figlio Raffaele e altre 17 persone.
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