Nuovo processo davanti alla Corte di Appello per Michele P. il poliziotto che il 30 luglio del 2011 durante un inseguimento sul Gra sparò e uccise Bernardino Budroni, detto Dino, un 40enne di Fonte Nuova che era stato segnalato al 113 dopo una lite con l’ex fidanzata. La II corte di Appello penale oggi ha deciso di riascoltare testimoni e consulenti nel processo bis a carico del poliziotto.
Si riapre il processo bis per il poliziotto che sparò durante l’inseguimento
Una sorpresa per il collegio difensivo dell’imputato: il poliziotto, infatti, dopo la condanna in appello a 8 mesi di reclusione aveva deciso di fare ricorso in Cassazione per assicurarsi l’assoluzione.
Il procuratore generale della II Corte penale di Appello di Roma, però, a sorpresa, oggi nell’incardinare il processo con l’accusa di omicidio colposo ha chiesto che venissero riascoltati testimoni e i periti, di fatto riaprendo un processo bis a carico dell’imputato senza limitarsi alle indicazioni della Cassazione che aveva bocciato la sentenza per vizio nelle motivazioni.
Si riaprono le speranze per la famiglia della vittima che assistita dall’avvocato Sabrina Rondinelli sperava proprio di ridiscutere il merito della vicenda convinta che quella sera il poliziotto non avrebbe dovuto sparare e invece ha sparato e ucciso.
Dino quella sera scappava da casa dell’ex ragazza. Lei aveva chiamato la polizia accusandolo di disturbo della quiete pubblica, ma lui, alla vista degli agenti, era fuggito via con l’auto. Una corsa finita con il mezzo fermo sul guard rail e un colpo di pistola al petto. La sentenza di primo grado, del 2013, aveva assolto Michele P. dall’accusa di omicidio colposo. Per il giudice si è trattato di “uso legittimo delle armi” per fermare il fuggitivo.
Accusa e difesa: le tesi
Le versioni dell’accaduto sostenute in aula sono due: se per i magistrati giudicanti, il poliziotto avrebbe sparato per interrompere una “grave e prolungata resistenza”, per la Procura non c’era alcun bisogno di bloccare l’auto con le armi, perché di fatto si era già fermata.
Da qui il ricorso in appello che ha poi ribaltato la sentenza: i giudici in secondo grado hanno riconosciuto la colpa e l’eccesso di difesa.
Il poliziotto non avrebbe dovuto sparare. Il caso era poi cambiato di nuovo. La Cassazione aveva accolto l’ulteriore ricorso presentato dalla difesa di Paone. Il legale ha sempre sostenuto la tesi della velocità sostenuta con cui Budroni scappava sul Raccordo, circa 200 chilometri orari.
Fino al colpo di scena di oggi: il processo si rifarà sì, ma daccapo.
“Mi auguro che finalmente si faccia davvero luce sul caso di mio fratello” commenta la sorella di Dino, Claudia Budroni, da sempre in prima linea nel chiedere giustizia per il fratello. “Non c’era la necessità di sparare, è tutto nelle carte“.