Violenza di genere a Maccarese: “Ho denunciato il mio ex ma io e mia figlia siamo ancora in pericolo”

Vittima della violenza di genere una giovane donna che abita nel comune di Fiumicino racconta le difficoltà che incontra anche chi si decide di rivolgersi alla giustizia

Foto non collegata ai fatti

La storia di Simona (nome di fantasia) è purtroppo simile a quella di tante donne vittime di violenza di genere. 28 anni, una figlia di sette avuta dall’ex compagno in giovanissima età, la donna che vive a Maccarese è precipitata nell’incubo dei ricatti e delle continue pressioni psicologiche nonostante avesse messo fine a quella tossica relazione da diverso tempo. Il 31 ottobre scorso la situazione è degenerata proprio mentre Simona si trovava alla guida dell’auto con cui si stava dirigendo verso Roma insieme all’ex che aveva accampato la scusa di un invito rivolto a entrambi e alla loro bambina per festeggiare Halloween da una comune amica.

Vittima della violenza di genere una giovane donna che abita nel comune di Fiumicino racconta le difficoltà che incontra anche chi si decide di rivolgersi alla giustizia

“Improvvisamente ha iniziato a darmi calci sul sedile e a dare in escandescenze di fronte a nostra figlia -ricorda Simona- così mi sono fermata nel parcheggio Todis di Coccia di Morto dove alcune persone si sono rese conto di quanto stava accadendo perché lui, palesemente ubriaco e delirante dopo avermi accusata di non fargli vedere la bambina, aveva iniziato a prendere a calci l’automobile. I presenti hanno chiamato il numero di emergenza e, poco dopo, sul posto sono arrivate una pattuglia della polizia e una dei carabinieri. Il giorno dopo con un referto di tre giorni di prognosi per le contusioni subite a causa dei pugni che mi aveva sferrato sul braccio e una spalla mi sono presentata in commissariato per la mia denuncia che ha attivato il cosiddetto codice rosso previsto a tutela delle donne vittime di stalking”.

Tuttavia l’idea che il ricorrente invito a denunciare uomini e partner violenti per evitare che la situazione possa aggravarsi sino a sfociare, nelle situazioni più estreme, in un femminicidio, almeno nel caso di Simona non sembra aver trovato, purtroppo, l’auspicato riscontro. Il braccialetto elettronico, oppure il divieto di avvicinamento (cosiddetto daspo) infatti arriva solo quando la gravità degli atti persecutori posti in essere dall’aggressore è tale da spingere il magistrato a disporre immediate misure restrittive di prevenzione.

La mia denuncia è stata presa in carico dalla Procura della Repubblica di Civitavecchia ma non è certamente l’unica su cui si concentra il lavoro degli otto sostituti in servizio e mi è stato spiegato – puntualizza la donna – che, dall’entrata in vigore della legge Cartabia, qualsiasi provvedimento che possa limitare la libertà di una persona, a prescindere dalla sua presunta pericolosità deve essere valutato e disposto da un giudice. Naturalmente in base al codice rosso attivato dalla polizia di Stato mi sono rivolta anche a un centro antiviolenza dove, per ironia, quando ho spiegato che il mio ex seguiva me e mia figlia dappertutto e persino fuori della scuola mi è stato risposto che in fondo, aveva ancora la libertà di farlo. In passato mi ero rivolta anche ai carabinieri – puntualizza Simona – che mi sconsigliarono di presentare denunce se non avessi avuto a disposizione un referto medico per lesioni”.

Alla disperata ricerca di testimoni nell’udienza fissata dal tribunale di Civitavecchia

Poi qualcosa si è mosso. “Alla fine posso considerarmi fortunata perché l’udienza in cui sarà esaminato il mio caso è stata fissata il 31 gennaio al tribunale di Civitavecchia ma affinché possano essere presi provvedimenti adeguati non sarà sufficiente che io spieghi la situazione di assoluto disagio che stiamo vivendo. Per questo sto provando a rintracciare, affinché vengano a testimoniare, quelle persone che hanno preso le mie difese a Coccia di Morto. Il legale della controparte mi ha già fatto presente che, in assenza di prove concrete, io potrei benissimo aver preparato una trappola per far dare una lezione al padre di mia figlia invece di essere stata io la vittima dell’aggressione”.

Nel frattempo Simona dovrà difendersi da sola da altre potenziali incursioni dell’ex marito chiedendo ad amici e parenti di farle da scorta e alle mamme degli altri compagni e compagne di scuola della figlia di essere presenti quando va a riprenderla alla fine delle lezioni. Il paradosso è che l’ex compagno, su suggerimento del suo avvocato nel frattempo ha contro denunciato Simona per la violazione degli obblighi sulla custodia della bambina che a termini di legge dovrebbe poter ancora vedere il padre.

E’ una cosa scandalosa che, sino a quando non si palesi un giudice le donne che, come me decidono di rivolgersi alla giustizia, siano costrette a vivere in un limbo nel quale non ci sia oltretutto alcuna tutela per i minori coinvolti che sono sempre i primi a pagare in queste situazioni per la violenza anche psicologica esercitata da padri mentalmente bisognosi di cure. A tutte le donne che si trovano in situazioni come la mia – conclude Simona – dico anche di non vergognarsi a bussare a tutte le porte disponibili e di uscire allo scoperto e a lottare per far valere i propri diritti”.