Habemus dune persegue l’ambizioso scopo di riportare sul litorale la duna mediterranea ormai minacciata da piante aliene
Si chiama “Habemus dune” ed è un progetto di ingegneria naturalistica del Comune di Pomezia, finanziato dalla Regione Lazio e partito nel mese di febbraio del 2022 che punta alla ricostituzione della duna mediterranea. Lo scopo della piantumazione di alcune specie di piante autoctone e dotate di radici molto profonde è di trattenere la sabbia a ridosso dell’arenile ed evitarne la dispersione lungo le strade.
Un fenomeno, quello della tracimazione della sabbia capace di mettere, tra l’altro, in serio pericolo la circolazione dei veicoli lungo la litoranea, come dimostrano i dati sugli incidenti, anche molto gravi, provocati dalla presenza di quel sottile strato di silicio che trasforma l’asfalto in una superficie scivolosa quanto una pista di pattinaggio sul ghiaccio.
“In questi giorni -spiega Cristiano Casafina, autore e supervisore del progetto- abbiamo avviato la sistemazione di circa 800 piante, su un totale di 20mila, lungo un tratto dell’arenile di Torvaianica dove avevamo già operato dieci anni fa collocando barriere fatte anche di canne di bambù che vanno sostituite ma hanno permesso di risolvere il problema dell’insabbiamento della sede stradale. Il ricorso a questo tipo di tecniche è frutto di studi universitari e di ricerca molto avanzati, scaturiti anche dall’esperienza di Giancarlo Bovina, un geologo che ha sperimentato l’implementazione di queste tecniche all’interno del Parco Nazionale del Circeo una ventina di anni fa”.
La zona dove è stata avviata la piantumazione finalizzata alla ricostruzione delle dune si trova nella frazione del comune pontino sul lungomare delle Sirene, nel tratto incluso tra gli accessi alla spiaggia contraddistinti dai numeri 32 e 34, in corrispondenza del fosso della Crocetta e della spiaggia dello stabilimento Schiano.
A essere collocate sono le piante dotate di un apparato radicale molto profondo che rimane dormiente d’estate, quando il caldo torrido incendia il litorale, ma che consente di stabilizzare la sabbia facendola ammucchiare in un processo funzionale alla diffusione della macchia mediterranea. Una barriera naturale che nel corso dei decenni è scomparsa sotto la pressione incalzante dell’abusivismo edilizio come dimostrano le immagini riprese dall’alto negli anni della seconda guerra mondiale dai velivoli della Raf impegnati nel bombardamento dei presidi della Wehrmacht situati lungo il litorale laziale.
Ricostruire ciò che la mano dell’uomo ha distrutto è la scommessa del progetto “Habemus dune”, gestito dal comune di Pomezia e finanziato con un 1 milione e 250mila euro di fondi regionali. Una scommessa non facile per diverse motivazioni. La prima difficoltà riguarda il reperimento delle specie dunali tipiche della spiaggia, come la graminacea ammofila arenaria considerata la vera e propria regina della macchia mediterranea con le radici capaci di raggiungere i due metri di profondità e che, collocandosi in cima al punto in cui lo strato di sabbia inizia a crescere ne assicura l’ancoraggio e ne facilita l’accumulo.
Un’altra delle specie in corso di reintroduzione sul litorale di Torvaianica è l’agropiro caratterizzato da una notevole resistenza alla salsedine e poi le margherite camomilla di mare che tappezzano la superficie dell’arenile e i fiori di giglio.
Mentre Cristiano Casafina, architetto per formazione ma poi affascinato dall’ingegneria naturalistica, coordina le varie fasi propedeutiche alla reintroduzione della biodiversità un tempo caratteristica della costa litoranea, c’è tuttavia chi continua assiduamente a introdurre specie esotiche invasive che danneggiano il lavorio lento delle graminacee ma che sono preferite sia dai titolari degli stabilimenti balneari, attratti dal fascino del verde e capaci di spingersi sino a creare dei veri e propri giardini all’inglese assolutamente estranei all’aspetto originario dei luoghi, sia dai proprietari delle abitazioni cresciute come funghi sul demanio marittimo a partire dagli anni successivi al secondo dopoguerra e che stravedono per specie altamente invasive, ma ritenute esteticamente più belle e anche più utili a tenere lontane, con i loro aculei le masse di villeggianti e dei pendolari della tintarella pronti a invadere le spiagge del Tirreno quando arriva la bella stagione.
L’elenco delle specie nemiche delle piante dunali è anch’esso molto variegato. Si va dai colori iridescenti dell’agave americana, alle foglie spinose della Yucca gloriosa passando per altri esemplari alieni, come i fiori viola e gialli del fico degli ottentotti già presenti all’epoca dei primi insediamenti dei pescatori arrivati in queste zone a partire dagli Anni Cinquanta e forse introdotte dalla Guardia forestale come rimedio di veloce intervento per l’ancoraggio della sabbia.
Poiché si tratta di piante situate sulla zona di rispetto del demanio marittimo le imprese che eseguono il progetto “Habemus Dune” le eradicano per consentire la reintroduzione delle specie dunali tipiche non solo delle coste laziali ma anche delle isole toscane, delle Baleari e dell’isola del Giglio su cui sono stati avviati progetti di recupero della vegetazione tradizionale fortemente osteggiati dai residenti. Piante ottenute da semi locali provenienti da un vivaio specializzato.
“Lo scopo che perseguiamo -spiega Cristiano Casafina- è di preservare la bellezza dell’ecosistema non solo per la sua funzionalità ma anche per le future generazioni. Quello della perdita progressiva di metri e metri di spiagge è un problema reso evidente anche dalla progressiva riduzione dei sedimenti portati dai corsi d’acqua che sfociano a mare. All’epoca dell’unità d’Italia, negli ultimi decenni dell’800, il Tevere riversava sul litorale circa tredici milioni di metri cubi, oggi ne arriva a mala pena un milione. Si tratta di conservare quel poco che ancora ne rimane. Il vento continua a soffiare, ma dove prima c’era la sabbia ora ci sono le strade, dobbiamo far pace con l’idea che la natura è sovrana e va assecondata. Sino a qualche anno fa la sabbia sparsa sull’asfalto veniva addirittura considerata un rifiuto pericoloso per il sospetto che il passaggio dei pneumatici ne provocasse l’inquinamento a causa della dispersione dei residui di gomma. Poi le analisi chimico fisiche che abbiamo effettuato nella zona di Torvaianica hanno dimostrato, per esempio, che la concentrazione di rame sulla battigia era molto superiore a quella presente nei granelli portati dalle correnti d’aria verso l’entroterra. Eppure ciò che veniva raccolto dai mezzi di spazzamento veniva portato in discarica e in qualche caso finiva addirittura nelle ville per eseguire lavori privati. La sabbia non va buttata è un bene naturale molto prezioso”.
E mentre i lavori di piantumazione sulla litoranea proseguono Casafina ha avviato un altro progetto. La creazione di un giardino didattico aperto gratuitamente a chiunque voglia visitarlo per vedere i complessi procedimenti che portano alla nascita delle dune mediterranee presso il centro di addestramento ippico “Al Cavallino verde”, situato in via di Pratica di Mare 23 ad Ardea. Qui si trova un vivaio dedicato alla biodiversità dove si può imparare a coltivare insieme ai ragazzi delle scuole e delle tante associazioni presenti sul territorio piccole, ma altrettanto forti specie di graminacee, o a utilizzare i sacchi di juta per il trasporto del caffè al fine di soffocare le piante aliene che da decenni hanno iniziato a stravolgere l’habitat costiero. Chi fosse interessato ad attivare progetti per scuole, associazioni, cittadini per conoscere le dune tramite attività ludiche e di laboratorio può contattare il numero 347 5311516.