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Carcere di Civitavecchia: detenuti scoperti a postare video su Tik Tok

La polizia penitenziaria vede i video e riconosce una cella del carcere

Due brevi video girati nel carcere e poi postati su Tik Tok dagli stessi detenuti sono stati scoperti dalla polizia penitenziaria di Civitavecchia e hanno fatto scattare le ricerche dei cellulari all’interno della struttura.

Controlli serrati hanno permesso di scovare gli smartphone e ricostruire anche gli orari di pubblicazione.

La polizia penitenziaria vede i video e riconosce una cella del carcere

La cella del carcere di Civitavecchia, ripresa all’interno dei video messi su Tik Tok, è stata riconosciuta da uno dei poliziotti.

Una vicenda che è stata ricostruita da Ciro Di Domenico, Coordinatore regionale della FP CGIL Polizia Penitenziaria. “Non è certo la prima volta che detenuti riescono a pubblicare dei video registrati all’interno di un carcere – ha spiegato – ma stavolta, la capacità di osservazione e controllo palmo a palmo della Polizia Penitenziaria di ogni cella detentiva, ha permesso l’individuazione quasi immediata del locale ripreso nei due video apparsi sul social network”.

Poi specifica anche la permanenza di questi video, che hanno visto protagonisti alcuni detenuti, sul social Tik Tok. Una “beffa” durata sei ore perché la cella è stata riconosciuta nel giro di poco tempo.

Immediatamente è partita una perquisizione straordinaria nell’intera sezione detentiva. “In questo modo –prosegue Di Domenico – la Polizia Penitenziaria di Civitavecchia ha ritrovato due telefoni cellulari perfettamente funzionanti, in uno dei quali erano anche rimasti in memoria i due video apparsi su TikTok“.

I due cellulari sono stati ovviamente posti sotto sequestro e visionati.

L’utilizzo di telefonini in carcere – afferma Mirko Manna, Nazionale FP CGIL Polizia Penitenziaria – non è, come qualcuno si ostina a sminuire, un banale mezzo per rimanere in contatto con i propri cari, ma è sia uno strumento di controllo e sopraffazione dei detenuti più pericolosi nei confronti dei più deboli, sia un pericoloso strumento per dare ordini o gestire traffici illegali all’esterno, continuando a mantenere il proprio status criminale nonostante la detenzione. Anche un banale video postato sui social network deve far riflettere quanto sia ancora diffusa la presenza di telefoni collegati anche ad internet all’interno delle carceri italiane“.

Per il sindacalista la soluzione “non è la schermatura delle carceri perché ci potrebbero anche essere problemi per la salute dei Poliziotti, quanto quella di potenziare la tecnologia per il ritrovamento dei telefoni e altre apparecchiature, ma ancora prima impedirne l’accesso stesso. Va riconosciuto anche il merito al Nucleo Investigativo Centrale (NIC) della Polizia Penitenziaria e a tutto il personale delle diramazioni regionali (NIR) per il monitoraggio e le indagini svolte anche in questo settore.”