Il museo archeologico Lanciani di Guidonia Montecelio si arricchisce di un nuovo pregiato reperto risalente all’antica Roma. Si tratta della statua della musa Clio, risalente a un periodo compreso tra la fine del II secolo dopo Cristo e l’inizio del III, recuperata grazie alle indagini e agli accertamenti antiriciclaggio eseguiti nei mesi scorsi dai militari del Comando provinciale della Guardia di Finanza di Roma.
Rinvenuta dalla Guardia di finanza nell’ambito di operazioni antiriciclaggio la Musa Clio è esposta a beneficio di visitatori, studiosi e appassionati
Il rinvenimento della statua è avvenuto nell’ambito di una serie di verifiche fiscali che hanno portato all’individuazione dell’opera detenuta da una persona che non è stata in grado di esibire alcuna documentazione ufficiale che ne giustificasse la titolarità. L’uomo è stato, infatti, segnalato alla Procura della Repubblica di Tivoli per ricettazione di beni culturali, mentre la scultura, dopo il sequestro, è stata, provvisoriamente affidata al Museo Civico Archeologico Rodolfo Lanciani di Guidonia Montecelio per consentire di ammirarla e agli esperti di accertarne la datazione e il luogo in cui era originariamente collocata.
Continua, così, il processo di crescita del museo archeologico che ha portato alla riapertura del secondo piano e dell’archivio storico, all’esposizione di nuovi reperti, all’inaugurazione di due nuove mostre e al ritorno della Triade Capitolina che si va ad aggiungere al Busto di Settimio Severo e al Sarcofago della Galatomachia tutti facenti parte di un’inestimabile collezione per gli appassionati di archeologia e di storia dell’antica civiltà romana.
La statua, realizzata in marmo bianco, è alta 124 centimetri ed è stata esposta accanto ad altri reperti recuperati dalla Guardia di Finanza. La figura, con la gamba sinistra leggermente avanzata ed entrambi i piedi sporgenti dall’orlo del panneggio, è interamente vestita. Indossa un peplo lungo fino ai piedi cinto da un sottile cordone che lo ferma appena sotto al seno e ha, sulle spalle, un mantello che scende largo a coprire la schiena, fermato da due lembi ricadenti a triangolo che ne mettono in risalto le forme anatomiche.
Le Muse, figlie di Zeus e Mnemosine, furono osannate nell’Antica Grecia ma diventarono parte integrante anche della cultura romana repubblicana e tardo imperiale
Le Muse come Clio, figlie di Zeus e di Mnemosine, divinità “olimpiche” di rango elevatissimo, erano ispiratrici delle arti, poste sotto la guida e protezione di Apollo. E la statua ora custodita al Museo di Guidonia Montecelio è la prima delle nove figlie della divina coppia ed è considerata, nella mitologia greca, musa del canto epico e della storia. I primi a dare raffigurazione a queste misure mitologiche furono, nell’antica Grecia, scultori del calibro di Cefisodoto, Prassitele e Lisippo.
La produzione scultorea delle Muse aumentò in età tardo-repubblicana e imperiale vennero spesso utilizzate anche solo come motivo decorativo, in mosaici, pitture e bassorilievi. Di qui i frequenti ritrovamenti negli scavi che sono stati effettuate sulle ville residenziali e sulle abitazioni dell’antica Roma anche in zone limitrofe alla Città Eterna, oppure sui sarcofagi urbani del II-III sec. d.C.
La statua corrisponde perfettamente al tipo iconografico utilizzato soprattutto per Clio. Gli attributi di questa musa sono il dittico, la coppia di tavolette legate insieme su cui scrive, tenuto con la mano sinistra, generalmente all’altezza della vita, e lo stilo nella mano destra, che può essere discosta e alzata, abbassata o, più di rado, protesa verso un calamaio in cui intingere la penna utile alla creazione di versi epici.
Nonostante le mutilazioni e l’esecuzione riconducile a un lavoro di bottega la Musa Clio custodita al Museo di Guidonia Montecelio conserva tratti molto pregiati e di sicuro interesse.
“Accogliamo con grande piacere questa nuova opera all’interno del nostro museo – ha commentato l’assessore alla Cultura del comune di Guidonia Michela Pauselli – e di questo dobbiamo essere grati alla Guardia di Finanza, alla procura di Tivoli che ne ha concesso l’esposizione e al direttore scientifico Zaccaria Mari che sta studiando questo nuovo reperto”.