La Corte d’Appello aveva proceduto alla confisca definitiva di tre sale giochi: la Corte di cassazione accoglie il ricorso ed affida ad altra sezione il riesame dei casi
Accusati di essere “teste di legno” del clan Spada, si sono visti confiscare definitivamente i beni dal Tribunale di Roma. Adesso la Corte di Cassazione, dubbiosa sulla procedura seguita, chiede di rivedere il provvedimento ed affida a un’altra sezione della Corte d’Appello il riesame del caso.
E’ l’esito del ricorso presentato da tre imprenditori di Ostia che il tribunale di Roma, Corte d’Appello Sezione Quarta, accusa di essere stati fiancheggiatori economici del clan Spada. Il contesto è il medesimo del clamoroso errore giudiziario che ha visto coinvolto i titolari della Gamma Auto (leggi qui), anche loro ingiustamente accusati di essere prestanome della famiglia sinti mafiosa. La Gamma auto, dopo una battaglia di tre anni, nei quali è stata commissariata da amministratori del tribunale, è riuscita a dimostrare l’assoluta assenza di rapporti economici e commerciali con alcun componente degli Spada. A oggi per quel danno economico, stimato dai proprietari in almeno 100mila euro, non è stato riconosciuto un solo centesimo di risarcimento.
Nel procedimento, una coppia marito e moglie di Ostia (difensori rispettivamente gli avvocati Luigi Vincenzo e Giovanna Cantoni), è accusata di aver gestito attraverso la loro azienda due sale da gioco per conto di Carmine Spada detto Romoletto. Sale gioco che sono state sottoposte a confisca definitiva con all’interno le macchine dei videogiochi. Nonostante durante il procedimento giudiziario sia stato provato e riconosciuto “l’attività sia nata e per qualche tempo si sia sviluppata in modo lecito”, i magistrati della Corte distrettuale d’Appello hanno creduto alle indicazioni di tre collaboratori di giustizia e quindi ritenuto responsabile la coppia di coniugi dei fatti addebitati.
L’altro ricorso accolto dalla Corte di Cassazione, presentato dall’avvocato Domenico Stamato, riguarda una cittadina cinese proprietaria del 40% delle quote di una società che gestisce un’altra sala giochi. La Sezione Quarta della Corte d’Appello aveva respinto il ricorso, e quindi ratificato la confisca definitiva del bene, per ragioni strettamente burocratiche. In buona sostanza venivano contestate la tardiva presentazione del ricorso, all’indomani del lockdown da pandemia Covid, e che lo stesso era stato “interposto da persona giuridica, anziché dalle persone fisiche dei soci”.
Ritenendo necessario un riesame delle vicende legate ai tre ricorrenti, la Quinta Sezione della Corte di Cassazione ha spedito il procedimento ad altra sezione della Corte d’Appello, diversa da quella che aveva respinto i ricorsi.