Vittima del caso di malasanità, in questo caso privata, una giudice del tribunale di Roma, Giulia Cavallone, morta due anni fa proprio a causa di quella diagnosi sbagliata della dermatologa
Senza neanche fare accertamenti la dermatologa, dopo ogni visita, arrivava sempre alla stessa conclusione: “Quello strano neo, è solo una verruca, seppur seborroica”. Invece era un tumore. E la vittima, proprio a causa della prognosi sbagliata, due anni fa è morta. Ora per la dermatologa, titolare di uno studio privato a Roma, è arrivata ora la condanna a 8 mesi di carcere per omicidio colposo.
A giudicare sul caso, tutto romano, i giudici di Perugia, competente per i reati che coinvolgono o vedono vittima magistrati romani. Come Giulia Cavallone, giudice del processo Cucchi Ter deceduta il 17 aprile del 2020, a 36 anni a causa di un “melanoma nodulare maligno ulcerato” scambiato per verruca.
La giudice non ce l’ha fatta, è stato stabilito a palazzo di giustizia di Perugia, proprio per quella diagnosi sbagliata formulata dalla dermatologa di fiducia che l’aveva visitata più volte tra il 4 novembre del 2013 e il 18 giugno del 2014.
Il magistrato, infatti, riuscirà ad ottenere la giusta diagnosi solo otto mesi dopo quando si è decisa ad affidarsi alle cure del San Camillo. Il tumore nel frattempo non era stato bloccato, anzi si era diffuso.
Per il gup di Perugia che ha emesso la sentenza di condanna in abbreviato per la dermatologa, la professionista non solo non avrebbe nemmeno effettuato “un’adeguata documentazione, anche fotografica” di quella che riteneva una verruca “al fine di valutarne l’evoluzione”, ma avrebbe anche omesso “di ricorrere ad esami strumentali approfonditi”.
Quando la giudice Cavallone – figlia del pg della Corte di Appello di Roma Roberto Cavallone, tra i magistrati che si sono occupati del giallo di via Poma – viene così sottoposta d’urgenza alla asportazione completa della lesione si accerta che non si tratta di “una verruca seborroica bensì di un melanoma nodulare maligno ulcerato che a causa del grave ritardo della diagnosi raggiungeva la massima stadiazione”.
Tanto che – ha concluso riporta il campo di imputazione a carico della dermatologa – “nonostante l’asportazione di un’ampia zona di derma nell’area interessata dalla formazione cancerosa, un intervento di linfoadenectomia …e successive cure con farmaci immunomodulanti e a bersaglio molecolare” i chirurghi non riuscivano a impedire l’evoluzione della patologia neoplastica che poi portavano a decesso la paziente”.
Giulia Cavallone ha tenuto la sua ultima udienza a piazzale Clodio il 26 febbraio del 2020, un mese e mezzo prima della morte. La battaglia giudiziaria avviata proprio dal magistrato, dopo la sua morte era stata portata avanti dal padre, assistito dagli avvocati di parte civile Stefano Maccioni e Nicola Di Mario.
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