Ambiente

La transizione ecologica non decolla nell’era post-Covid. Ecco i motivi

Transizione ecologica. Soltanto il 6% del denaro speso per la ripresa post-Covid dai Paesi maggiormente inquinanti è destinato a progetti di salvaguardia ambientale

Transizione ecologica. Soltanto il 6% del denaro speso per la ripresa post-Covid dai Paesi maggiormente inquinanti è destinato a progetti di salvaguardia, protezione o rigenerazione ambientale. Ancor più precisamente il 3% dei 14.000 miliardi di dollari mobilitati dalle 20 maggiori economie del mondo (che pesano per l’80% dei gas serra e l’85% del Pil globale) finisce in attività che aumentano le emissioni.

Certamente tra il 2020 e 2021, il gruppo G20 delle maggiori economie globali ha speso almeno 14 trilioni di dollari (quasi il prodotto interno lordo annuale della Cina) per sostenere giustamente i sistemi sanitari, i salari e il welfare. Alcuni docenti della John Hopkins University scrivono però, sulla rivista Nature, che le molte promesse fatte riguardo una ripresa green del settore siano effettivamente risultate nel famoso “Bla Bla Bla” di Greta Thunberg.

Transizione Ecologica: l’era post-Covid è peggiore rispetto allo scoppio della bolla finanziaria 2007-2008

A conti fatti, questa volta sta andando anche peggio delle recessioni del passato. Persino dopo lo scoppio della bolla finanziaria del 2007/08, quando il cambiamento climatico non era in cima all’agenda dei governi, il G20 aveva dato una risposta più verde (il 16% della spesa, più del doppio rispetto ad ora).

La ripresa post-Covid fino ad adesso ha mobilitato circa 860 miliardi di dollari per attività che effettivamente portano alla riduzione delle emissioni. Tra le aree principali troviamo il potenziamento della mobilità elettrica, l’efficienza energetica degli edifici e l’installazione di più capacità rinnovabile.

Aspetto che peggiora ulteriormente le prospettive future è che i paesi hanno cambiato ben poco le loro strategie in questi due anni, nonostante tutte le buone intenzioni iniziali dei governi a riprendersi dalla crisi Covid con un occhio molto più attento alla sostenibilità. Infatti il blocco dell’economia per diversi mesi del 2020 ha dato segnali chiarissimi di un respiro di sollievo per il nostro pianeta, il quale è tornato però ad essere attaccato in meno tempo del previsto.

La rivista Nature cita dunque che nei primi sei mesi del 2020, le misure di recupero verde hanno rappresentato il 5% della spesa complessiva. Poi la quota è salita al 12% nella seconda metà dell’anno, ma questo è solamente dovuto al fatto che l’Unione europea ha approvato il suo grande pacchetto di spesa per la riduzione delle emissioni. Infine, la quota è scesa di nuovo al 3% nel 2021.

E’ possibile dunque sperare in un Green Deal globale? Poiché l’Europa sembra tra le forze in prima linea, essa può sicuramente ricoprire il ruolo di leader d’esempio per le altre forze del G20, che faticosamente nei prossimi anni si dovranno allineare alle politiche verdi, prima che sia troppo tardi.

Ovviamente al momento lo scenario globale particolarmente instabile non fa ben sperare in una maggiore attenzione verso la transizione ecologica, ma rimane anche vero che le evidenze scientifiche dimostrano che la prossima nuova crisi mondiale non sarà né una pandemia, né una guerra ma gli effetti catastrofici del cambiamento climatico.

Alessia Pasotto,
Dottoressa in Economia dell’Ambiente e dello Sviluppo,
Su Instagram @natur_ale_

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