L'avvocato Russo: «questa tragedia si poteva e doveva evitare»
La procura di Roma ha aperto un’inchiesta sulla tragica morte di Adriana Tanoni, la giovane mamma di 28 anni di Aprilia, positiva al Covid e non vaccinata, deceduta la notte del 20 gennaio scorso all’Umberto I. Una settimana prima aveva dato alla luce, con parto cesareo, un bambino, risultato non positivo. La nonna: «mia figlia si poteva salvare. Mio nipote non pronuncerà mai la parola mamma.»
Un bambino appena messo al mondo non potrà mai pronunciare la parola mamma e una madre non conoscerà mai suo figlio.
Adriana Tanoni, infatti, incinta all’ottavo mese di gravidanza, è morta di covid, lo scorso 20 gennaio, al policlinico Umberto I di Roma.
Una tragedia che secondo la famiglia e il loro avvocato, Sebastiano Russo, si poteva evitare e per questo la procura di Roma ha aperto un’inchiesta.
Le indagini si concentrano sull’assistenza fornita alla 28enne dai medici dei vari ospedali in cui la donna si era recata dicendo di non sentirsi bene ma sempre rimandata a casa.
Gli inquirenti vogliono ricostruire le sue ultime giornate di vita. La 28enne infatti era stata anche in altri ospedali della capitale e dei Castelli Romani prima che le sue condizioni si aggravassero rendendo necessario il ricovero. I pm dovrebbero procedere per omicidio colposo a carico di ignoti.
Tutto inizia il 27 dicembre quando la ragazza manifesta i primi sintomi Covid. La 28enne già mamma di una bambina di due anni e mezzo fa il test e risulta positiva al covid. Il 3 gennaio la donna, che ha la febbre, si reca al Gemelli e poi all’Umberto I. Non riesce a fermarsi in nessuno dei due ospedali a causa dei tempi di attesa lunghi per ricevere una visita. Il giorno dopo chiama un’ambulanza che la trasporta ai Castelli. Qui, come racconta l’avvocato, le viene negato il ricovero e, come a Roma, le è imposto di attendere all’esterno della struttura nonostante le temperature e la sua condizione.
Il 5 gennaio la 28enne chiama di nuovo il 118, i sanitari la raggiungono a casa sua ma la visitano in giardino, nonostante la donna manifestasse febbre e la tosse.
«In quella occasione – racconta l’avvocato Russo – le è stata solo misurata l’ossigenazione, nessun controllo più approfondito, non è stata considerata sufficientemente grave ed è stata lasciata a casa. Una cosa assurda e gravissima. »
Solo il 7 gennaio la donna è stata ricoverata all’ospedale Umberto I e solo qui le viene diagnostica una grave polmonite interstiziale confermata dal test molecolare. Il 13 gennaio la situazione precipita e viene eseguito il parto cesareo d’urgenza, la donna da alla luce il suo piccolo che sta bene e non è positivo al covid. Adriana muore nella notte tra il 20 e il 21 gennaio.
«Adriana è morta il 20 gennaio, senza avere più visto la sua famiglia, la sua bambina di due anni e mezzo e senza avere mai conosciuto suo figlio – tuona l’avvocato Sebastiano Russo legale della famiglia – Adriana non era una no vax, era stata consigliata dalla ginecologa di non fare il vaccino, era al terzo mese di gravidanza quando lo ha chiesto e in quel momento le linee guida dicevano così. La famiglia non ce l’ha con la ginecologa ma con gli ospedali che non l’hanno presa in cura. Quando è entrata in ospedale a Latina, era ormai un cadavere ambulante, la sua situazione era disperata. Su questa tragedia va fatta chiarezza e giustizia.»
«Chiederemo il sequestro delle cartelle cliniche per ricostruire tutto quello che è accaduto. È un fatto gravissimo che non dovrebbe accadere in uno stato civilizzato. Il bambino per fortuna è stato dato alla luce ma non conoscerà mai la madre – continua l’avvocato – Adriana si poteva salvare. La figlia di due anni e mezzo chiede della sua mamma e pensa ancora che tornerà a casa. È una tragedia.»
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