Gita fuori Roma – Castro, l’antico borgo distrutto perso nel bosco (VIDEO)

Escursione tra le rovine dell'antica Castro, città rinascimentale dei Farnese nella Tuscia, rasa al suolo nel 1649 e perduta nei boschi della Selva del Lamone.

Il nostro viaggio tra gli antichi borghi e i luoghi di rilevanza storica del Lazio inizia da Castro, splendida città rinascimentale posta nel territorio comunale di Ischia di Castro (Viterbo), quasi al confine tra Lazio e Toscana.

Costruita a cavallo di un costone tufaceo, presso la Selva del Lamone, tra il fiume Olpeta, affluente del Fiora, e il Fosso delle Monache, Castro sorgeva su un territorio abitato fin dalla Preistoria e sede probabilmente della leggendaria città perduta etrusca di Statonia, la cui localizzazione è ad oggi ancora oggetto di dibattito tra gli studiosi.

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Fotografia di Andrea Contorni ©Canale Dieci.

Purtroppo l’infausto destino di Statonia sembra aver travolto, secoli e secoli dopo, anche Castro che da florida capitale dell’omonimo ducato fu totalmente rasa al suolo nel 1649

Arrivarci non è facile per chi non è pratico dei luoghi. Bisogna seguire le indicazioni per il Santuario di Castro dove è conservato il celebre Santissimo Crocifisso di Cristo, un masso con dipinta su una delle sue facciate, l’immagine del Crocifisso. Questa straordinaria reliquia, risparmiata dal sistematico abbattimento, è da sempre stata al centro di leggende, miracoli e sincera devozione da parte della popolazione locale. Migliaia di pellegrini si recano ogni anno, a Giugno, per venerare la sacra immagine del Cristo, accostandosi ai Sacramenti della Penitenza e dell’Eucarestia.

Percorrendo la provinciale 116, tra Marciano e Farnese, non possiamo che perderci in ettari ed ettari di campagna pianeggiante, coltivata a grano, girasoli, erba medica e ortaggi (in base alle stagioni), piantagioni di olivi, casali e terreni a pascolo. Un trionfo di colori in un’atmosfera bucolica, lungo una strada che si snoda con dolcezza, incrociando di rado qualche altra automobile o mezzo agricolo.

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Fotografia di Andrea Contorni ©Canale Dieci.

Ma è curioso quanto il paesaggio muti una volta giunti al Santuario. Questo si trova ai piedi di un costone tufaceo caratterizzato da un impervio bosco, trionfo di una Natura rigogliosa e selvaggia. Fino a qualche anno fa, Castro non era visitabile e diversi cartelli avvisavano della pericolosità del luogo. Nel 2017 è stato inaugurato il Parco Archeologico Antica Castro. Ora, dotata di un custode, l’area è stata messa in sicurezza e nuovi scavi sono stati conseguiti. Ciò non toglie che la gita richiede circa due o tre ore, percorrendo stretti sentieri con pendenze variabili e tratti non propriamente agevoli. Serve pertanto una discreta attitudine al trekking e all’escursionismo.

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Fotografia di Andrea Contorni ©Canale Dieci.

Perché Castro è stata distrutta? Ripercorriamo in breve la storia di questo florido borgo.

Nel Medioevo, sul luogo, strategicamente molto valido, sorse un castello denominato “Castrum Felicitatis“, forse per il fatto di essere dominato o semplicemente abitato da una nobildonna. La cittadella divenne sede vescovile e infine entrò nei possedimenti pontifici, acquistata da Papa Adriano IV. Tra il 1527 e il 1537, Castro, divenuto nel frattempo un libero Comune, fu al centro di accese dispute con interessamento della famiglia Farnese che dominava la vicina Valentano.

Con l’elezione al soglio pontificio di Paolo III Farnese proprio nel 1537, venne costituito il Ducato di Castro che riuniva tutti i feudi laziali della potente famiglia dallo stemma gigliato. La città di Castro ne fu la capitale, per la sua posizione centrale e ben difendibile. Gli anni a seguire furono caratterizzati da grandiosi lavori di ricostruzione e ampliamento urbanistico. Sotto la guida dell’architetto Antonio da Sangallo il Giovane, Castro divenne un modello artistico di città rinascimentale.

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Sentiero di entrata all’antica città di Castro. Fotografia di Andrea Contorni ©Canale Dieci.

In una città così splendida e rinnovata, sede della prestigiosa corte dei Farnese, si trasferirono le più influenti famiglie della nobiltà locale. Castro visse il periodo più fulgido della sua storia. Poco tempo dopo, nel 1545, la città perse la corte ducale. I Farnese avevano infatti ottenuto il ricco ducato di Parma e Piacenza.

Gli anni tra il 1623 e il 1649, segnarono l’inesorabile declino di Castro. Lo scontro tra Papa Urbano VIII Barberini e i Farnese, a causa dei debiti non soddisfatti da parte della famiglia, portò a una dura guerra che si protrasse anche oltre la morte del Pontefice con l’intervento di varie potenze italiane ed europee.

L’ultimo duca di Castro, Ranuccio II Farnese fu accusato dell’omicidio del religioso Cristoforo Giarda, appena nominato da Papa Innocenzo X Pamphili, vescovo di Castro. Le truppe pontificie invasero il territorio di Castro nel luglio del 1649. A settembre, la città capitolò. Tre mesi dopo, fu ordinata l’evacuazione degli abitanti e il Papa dispose la distruzione totale di Castro, comprese le chiese e i luoghi sacri.

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Ricostruzione del palazzo della Zecca che si affacciava su Piazza Maggiore a Castro. Fotografia di Andrea Contorni ©Canale Dieci.

Una volta rasa al suolo, le truppe papali lasciarono in loco una lapide di pietra con incisa la scritta “Qui fu Castro“. Era da monito per chiunque osasse sfidare l’autorità papale. Questa testimonianza non è mai stata rinvenuta e ancora oggi, diversi studiosi e curiosi, tentato di ritrovare il famoso masso tra le macerie della città.

Gli scavi archeologici hanno permesso di identificare quelle che erano le strutture principali di Castro, seppur ormai la natura abbia invaso con prepotenza ogni suo spazio. Il centro della città era costituito da Piazza Maggiore dove si affacciavano gli edifici del potere politico e civile, la Zecca e il Palazzo dell’Hostaria con uno splendido porticato a colonne sotto il quale stavano diverse botteghe. La piazza aveva una pavimentazione in lastricato a spina di pesce che possiamo ancora oggi ammirare in tutta la sua precisione.

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La pavimentazione di Piazza Maggiore a Castro. Fotografia di Andrea Contorni ©Canale Dieci.

Imponente era il Duomo di San Savino, dedicato all’amato patrono di Castro. La chiesa di forma rettangolare aveva un impianto basilicale a tre navate. La facciata era decorata con un rosone, colonnine in marmo e raffigurazioni marmoree di animali. Altre testimonianze appartengono ai ruderi del convento di San Francesco e della Chiesa di Santa Maria nella quale possiamo ammirare alcuni resti di affreschi. Interessanti anche le numerose grotte, alcune adibite ad abitazioni, altre a botteghe e la Tomba della Biga (dove è stato rinvenuto l’unico esemplare di una biga Etrusca da parata, conservato al Museo Nazionale di Viterbo), che unita alle numerose necropoli alla base della rupe, rendono l’idea di quanto il luogo fosse importante e vissuto in epoca etrusca.

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Le rovine del convento di San Francesco a Castro. Fotografia di Andrea Contorni ©Canale Dieci.

Camminare tra queste rovine, spesso in solitudine, dato che il posto è ancora poco conosciuto e frequentato, dona sensazioni uniche. Si percorrono strade e sentieri tra cataste di laterizi ed elementi architettonici, tra capitelli, macine e resti di colonne, in un ambiente nel quale la Natura è tornata ad essere la silenziosa padrona incontrastata. Castro, con i suoi ruderi rinascimentali e il suo passato etrusco, sembra sospesa nel tempo, quando la vita si arrestò in quel dicembre del 1649. Castro potrebbe celare tanti segreti e ulteriori luoghi, probabilmente sotterranei, difesi e nascosti dalla Natura. Un esempio su tutti è la famosa roccia con la scritta “Qui fu Castro“, dalle fonti riportata ma poi rinvenuta.

Bibliografia, sitografia e note:

  • Le fotografie sono di Andrea Contorni, tutti i diritti concessi a Canale 10.
  • “Qui fu Castro…!”: tutte le monete di quell’effimera città ideale. Articolo di Cronaca Numismatica (2018).
  • “Castro, l’antica città perduta…”, articolo di “Experiencelazio.com”.
  • “SS. Crocifisso di Castro. Storia e devozione” di Mario Brizi. Edizioni BiEmme.
  • “La città di Castro e l’opera di Antonio da Sangallo” di G. Gavelli. Ceccarelli Editore (1981).

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