Il 9 maggio 1978 viene annunciato dalle Brigate Rosse l’abbandono del corpo esanime di Aldo Moro in via Caetani. Il racconto del Questore Elio Cioppa, tra i primi a giungere sul posto
Era il 9 maggio 1978: dopo 55 giorni di prigionia, le Brigate Rosse restituivano il corpo del leader Dc, Aldo Moro, dopo averlo giustiziato. I terroristi lo facevano annunciandolo telefonicamente al segretario dell’uomo politico e la Questura di Roma inviava sul posto un superpoliziotto, Elio Cioppa.
E’ attraverso il racconto di Elio Cioppa, tra i più grandi esperti internazionali di indagini su sequestri di persona e sul terrorismo, che riviviamo quella drammatica mattina di 43 anni fa. Oggi Cioppa ha 82 anni e all’epoca era il vice capo della Squadra Mobile di Roma.
“Ricevetti la telefonata del Questore di Roma, De Francesco – racconta Elio Cioppa – Mi disse che il professor Tritto, che era il segretario del leader DC, aveva ricevuto la telefonata di un terrorista nella quale si annunciava che il corpo dell’onorevole Moro si trovava in via Caetani cioè a breve distanza da Botteghe Oscure (sede del PCI n.d.r.). Il questore mi disse ‘Vai a vedere se trattasi effettivamente di Moro e mi avvisi prima che io debba fornire tutte le spiegazioni del caso’”.
“All’epoca facevo parte della Squadra Mobile di Roma a andai subito a via Caetani ma non ero solo – prosegue il racconto di quel 9 maggio – Il questore, infatti, mi disse pure ‘Per eventuali intemperanze della piazza, prenditi una cinquantina di uomini’ che io piazzai all’ingresso da via delle Botteghe Oscure”.
Questo perché temevate disordini? “Sì – risponde Cioppa – Logicamente sulla scorta di ciò che era avvenuto nei giorni precedenti, è chiaro che ci poteva essere una reazione contraria”.
Non avete sospettato che potesse trattarsi di un agguato? “No, questo no – chiarisce Cioppa – Andai sul posto e da via delle Botteghe Oscure vidi a breve distanza, circa 100 metri, la Renault rossa di cui si parlava come l’auto nella quale potesse trovarsi il corpo dell’onorevole Moro. Sistemai i miei uomini all’altezza di via delle Botteghe Oscure pronti per qualsiasi avvenimento. Mi avvicinai alla macchina e costatai pure che c’erano due sottufficiali della Digos grosso modo a una distanza di dieci metri e questo particolare mi lasciò molto perplesso”.
Non temette che l’auto potesse contenere una trappola esplosiva? “Sì c’era questo rischio – ammette Cioppa – Nessuno tra i presenti, però, mi aveva detto nulla a tal proposito. Guardai la macchina con molta cautela e, poiché ero preparato a tutti gli incidenti del mestiere, feci attenzione alla presenza di eventuali fili sporgenti o altre cose sospette. Di conseguenza alzai il portellone e vidi il corpo dell’onorevole Moro crivellato completamente di colpi, dal torace alla pancia”.
La scena è rimasta particolarmente impressa al superpoliziotto. “Ho sempre avuto l’abitudine di guardare negli occhi il cadavere e in quelli di Moro notai la rassegnazione in quanto evidentemente lui aveva capito che gli dovevano sparare. Una situazione che va a suo onore”.
“Una volta riconosciuto – prosegue Cioppa – telefonai subito al questore per confermare che si trattava dell’onorevole Moro e lui mi diede un ordine secco: ‘vai subito a Monte Mario a prendere la vedova e poi l’accompagni all’ospedale, le fai fare il riconoscimento della salma dopo di che la riporti a casa‘”.
Che tipo di reazione ebbe la moglie di Moro? “Rimasi costernato perché non versò lacrime – riferisce Cioppa – Pur non piangendo, però era rattristata nel modo più assoluto. Ricordo che di fronte al cadavere tenne a lungo la sua mano tra i capelli del morto”.
Quanto l’ha segnata questa esperienza? “E’ stata un’esperienza molto dolorosa – segnala Cioppa – Da ispiratore del nuovo governo, ci si aspettavano molte cose da Aldo Moro: era un uomo illustre, dedito alla famiglia. Mi sono profondamente amareggiato”.
Elio Cioppa ha ricoperto ruoli fondamentali nella lotta alla criminalità: da vicecapo della Squadra Mobile di Roma a responsabile dell’Ordine pubblico nelle manifestazioni di piazza (ha subito tre interventi chirurgici per le conseguenze di una molotov che lo ustionò ad una gamba), al ruolo primario nei servizi segreti Sisde, a dirigente dei commissariati Prenestino e Lido di Ostia, all’Ufficio Stranieri di Roma fino a Questore di Nuoro. Grazie a lui, tra gli altri, sono stati arrestati Bergamelli e il clan dei Marsigliesi, il terrorista neofascista Pierluigi Concutelli, liberata dal sequestro Giovanna Amati, sgominata la colonna brigatista di Genova (Operazione Canepa 1), si è ottenuta la liberazione di Silvia Melis. Nel 1977 ricevette anche l’offerta dell’FBI di trasferirsi in Usa come investigatore a capo della loro Squadra Antisequestri.
Ciò nonostante un’ombra viene rievocata di tanto in tanto sul suo curriculum: l’iscrizione alla loggia P2 della massoneria con il numero di tessera 658. Gli si imputa di non aver scoperto il covo brigatista di via Gradoli a Roma e lui replica “il messaggio della confidente Lucia Mokbel che indicava quell’appartamento sospetto non mi è mai pervenuto e, comunque, non ero ancora iscritto alla loggia”. Peraltro, ricorda, “io ho pagato la tessera un solo anno e essere all’interno di quella loggia era mio compito come agente operativo del Sisde”. A tal proposito, Cioppa ricorda pure che per quella accusa infondata, nel 2001 gli è stato riconosciuto (e pagato) un indennizzo di 100 milioni di euro dal Gruppo L’Espresso e da tre giornalisti che lo avevano diffamato rispetto all’accusa di influenza della fratellanza massonica nella liberazione di Silvia Melis, uno dei suoi tanti casi risolti.
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