Il silenzio delle istituzioni su una morte assurda in un pezzo di città da incubo
Quella di Riccardo Pica è una morte assurda che ha turbato l’opinione pubblica. Ha indignato la gente comune. Ha fatto piangere le mamme. Ha suscitato la ribellione per le condizioni orribili in cui è maturata: ragazzi che giocano in un parco che affoga nel degrado (leggi qui), un barbone che occupa abusivamente le strutture pubbliche e che, “violato nella sua proprietà”, si sente in diritto di correre dietro a quei giovani e minacciarli armato di una sbarra (leggi qui). Con la conseguenza che la fuga da quella minaccia si conclude drammaticamente con il cuore di Riccardo che si ferma.
È, per certi versi, ingombrante la morte di quel ragazzino di 16 anni. Accende in modo tragico i riflettori su una situazione che si trascina da anni, sulla quale qualcuno ha sbagliato, arrivando anche a fare promesse non mantenute di tutela del bene pubblico, della sua riqualificazione, del suo rilancio. Un faro esploso con la richiesta sacrosanta della mamma di Riccardo, Daniela, che non solo chiede giustizia ma implora che questo stato di pericolo in una terra di tutti e di nessuno, venga fatto cessare al più presto (leggi qui).
Sarà per questo imbarazzo che su questo fatto è calato un silenzio di piombo. Inducendo una riflessione che abbiamo affidato alla penna di Mara Azzarelli.
Era il 30 ottobre del 2007 quando all’indomani dell’omicidio di Giovanna Reggiani avvenuto in un’area pubblica a ridosso della stazione ferroviaria di Tor di Quinto la reazione dell’allora sindaco Walter Veltroni fu talmente ferma e dura da scatenare un putiferio. Arrivarono a Tor di Quinto amministratori pubblici e politici di tutti i colori. Prefetti, sottosegretari e vennero convocati un comitato per l’ordine e la sicurezza ma anche un consiglio dei ministri. Minacciati, e poi fatti, gli sgomberi. Allo stesso Veltroni quel fattaccio presentò, poco dopo, un prezzo politico carissimo.
Anno 2021. Fatti diversi. Ma lo scenario è sempre quello di un’area pubblica abbandonata. Peggio, forse. Questo fazzoletto di terra, tra via Macchia Saponara e via di Acilia, è di proprietà comunale. Uno degli ex Punti Verde Qualità della Capitale.
Anche stavolta, come a Tor di Quinto, c’è un accampamento che sta dove non dovrebbe stare. Stavolta a morire, inseguito da un senzatetto a quanto risulta armato, è un ragazzo di 16 anni. Si chiama Riccardo. Viene da una famiglia dignitosa ma semplice, che vive poco distante da quel parco. In una periferia romana che nell’abbandono e nel degrado ormai si assomiglia un po’ tutta.
Riccardo muore. Ma stavolta intorno a lui c’è il silenzio. I fiori li portano i cittadini normali. A parlare con i giornalisti e a chiedere aiuto alle forze dell’ordine altri cittadini. C’è il presidente dei un comitato di quartiere locale che si da da fare. Pochi altri. Un silenzio assordante che nelle orecchie di mamma Daniela rimbomba forte. “Mio figlio era introverso – racconta – non usciva mai. Aveva pochi amici. Mi chiedeva spesso: mamma perché io non ho amici? Gli rispondevo “Li avrai amore, li avrai'”.
Anche per questo, il silenzio, oggi fa più male. Tace persino chi dovrebbe parlare. La politica tace. Nemmeno una riga dagli amministratori pubblici.
I giornalisti guardano e riguardano le email, ma non arriva mezzo comunicato con la solidarietà a quella famiglia. Niente sfilate di Questori o Prefetti. Niente comitati per l’ordine e la sicurezza. Niente riunioni di Consiglio dei Ministri. Niente minacce di sgomberi per quell’accampamento.
La sindaca? Al parco della Madonnetta in tanti avrebbero voluto vederla in queste ore. Ma niente. Nemmeno lei si fa vedere. Stavolta nessun putiferio. Per Riccardo, no. Riccardo muore nel silenzio più totale. Come se fosse normale. Tacere. Come se la vita di Riccardo, per qualche oscuro motivo che fa male solo immaginare, valesse di meno.
Come se Roma fosse un’altra città. Sicuramente peggiore.
Mara Azzarelli