Nella Giornata della memoria è doveroso che l’Umanità si scusi con chi è la testimonianza dolente di quel crimine chiamato Olocausto
Sami Modiano da Rodi, ostiense d’adozione, è un uomo fattosi memoria. E, nel giorno in cui il mondo ricorda la liberazione degli unici superstiti di Auschwitz, è a lui e ai pochi martiri sopravvissuti di quella immane tragedia, che l’Umanità deve chiedere perdono.
Ha 90 anni Sami Modiano e ne aveva 13 quando, nel 1944, entrò ad Auschwitz-Birkenau da deportato candidato alla “Soluzione finale” dei nazisti. Fu internato con il papà Jacob e la sorella Lucia nel campo di sterminio e non li vide più fin dal loro sbarco alla Judenrampe dove i candidati alle camere a gas venivano divisi dagli addetti ai lavori forzati. Lui riuscì a sopravvivere, i suoi familiari no.
Oggi Sami è uno dei pochi che può testimoniare l’orrore di quel crimine. Una crudeltà che ha impressa sulla pelle con il numero del lager B 7456 marchiato, negli occhi e nel cuore. Ma non si sottrae al compito di testimoniare nei confronti delle nuove generazioni che non hanno visto e non credono. “Questi occhi hanno visto” ripete ad ogni occasione. “Mi chiedevo perché io, perché sono sopravvissuto – è l’interrogativo che lo accompagna da allora – Adesso ho capito perché: sono stato scelto per testimoniare quell’orrore”.
Sami vive a Ostia. Gli ricorda la sua Rodi, da dove con la sua famiglia e ai suoi cugini insieme con mille altri ebrei fu prelevato una mattina di agosto 1944. Furono caricati su un treno e trattati come bestie. I nazisti gli dissero che sarebbero stati portati a lavorare per l’industria bellica. Invece erano diretti ad un campo di sterminio, quello di Auschwitz-Birkenau. Nel caldo soffocante dei vagoni, senza acqua né cibo, privati della dignità, ammassati come bestie, ne morirono tanti. Chi arrivò alla Judenrampe era convinto di essere scampato, di avercela fatta. Non sapeva che scesi dal treno sarebbero stati selezionati: l’80% diretti alle camere a gas, il resto a soffrire per mandare avanti quell’industria della morte.
Questo signore di 90 anni all’epoca aveva 13 anni: poco più di un bambino fu costretto a subire una serie di angherie, di violenze, di paure scioccanti e indelebili. Fino all’ultimo della sua prigionia, quando creduto morto fu abbandonato dai tedeschi in fuga su una pila di cadaveri.
Tutto questo Sami lo ha taciuto per decenni. “Non avrebbero mai creduto a tutto questo” si giustifica. Fino a quando, convinto da altri sopravvissuti ai campi di sterminio, non ha deciso di farsi memoria vivente. Un appuntamento, quello, del quale sono stato onorato di essere testimone.
Era l’inverno del 2007. L’allora sindaco Walter Veltroni, volle che in quel commovente Viaggio della memoria ad Auschwitz-Birkenau, partecipassero oltre ad alcune scolaresche, anche alcuni giornalisti. Ed ero tra quelli. A fare da memoria vivente di quei luoghi un gruppo di superstiti: Piero Terracina, Slomo Venezia, una delle sorelline Bucci, esattamente Andra, e Sami Modiano. Fu un tuffo nell’inferno, una impietosa ricostruzione della tragedia nei luoghi che ne erano stati il feroce teatro.
E proprio a proposito di quel viaggio, racconta Valter Veltroni nel suo libro “Tana libera Tutti. Sami Modiano il bambino che tornò da Auschwitz” pubblicato oggi: “Quella sera c’era un incontro con i ragazzi, organizzato per rispondere alle loro domande. Ricordo Sami che stava lì su una sedia a parlare con loro, era l’una di notte e non volava una mosca”. Veltroni ricorda anche il ruolo di Piero Terracina (che con Modiano condivise l’esperienza del campo, amico fraterno ritrovato quando ormai entrambi erano anziani), scomparso nel 2019, con il quale convinse Modiano a intraprendere il viaggio ad Auschwitz: ‘io e Piero gli eravamo accanto: entrambi eravamo convinti che sarebbe stato utile per lui’, dice, ‘quel viaggio ha dato una scossa alla sua vita. Sami mi ha detto di aver capito perché era sopravvissuto proprio dalla reazione di quei ragazzi alle sue parole“.
Ho incontrato un paio di volte qui a Ostia Sami. Erano occasioni culturali e non ho mancato di sentirmi in colpa verso di lui. In dovere di chiedergli scusa, di chinare sommessamente il capo per ciò che la parte marcia della nostra Umanità gli ha provocato. Lunedì sera con profondo rispetto e commozione nei suoi occhi ho ancora una volta letto il dolore immenso ma anche la missione di testimonianza alla quale non si è sottratto nella lunga intervista di Monica Maggioni su “Settestorie” (qui la trasmissione integrale).
Su quel pattino dello stabilimento “La Capannina” di Ostia ho ancora una volta ritrovato un uomo fiero, combattivo, lucido, piegato nel dolore di una ferita che non si rimargina ma reattivo, che non si arrende. E’ a quest’uomo di 90 anni, fattosi memoria, che noi tutti dobbiamo le nostre scuse.
Ringraziamo Pino Rampolla per la concessione delle foto di Sami Modiano in primo piano