Grande Roma

Studente americano ucciso a Trastevere, assolto Galioto

Massimo Galioto, il senza tetto accusato di aver assassinato il giovane statunitense Beau Solomon, è stato assolto dalla Corte d’Appello. Secondo la Procura Galioto, la notte del 30 giugno 2016, ha picchiato e spinto nel Tevere il ragazzo americano, dopo averlo aggredito sulla banchina del fiume nei pressi di Ponte Sisto, a Trastevere.

Beau Solomon era giunto da poco a Roma per studiare alla John Cabot University. Secondo la ricostruzione dei pubblici ministeri Galioto lo ha prima preso a pugni e poi gettato nel Tevere, dopo averlo derubato.

Massimo Galioto

Ma i giudici di secondo grado non hanno confermato l’impianto accusatorio dei pm, e hanno ribadito la sentenza di primo grado: a determinare la morte di Beau non è stato il clochard.

Al termine del primo processo Galioto era stato assolto con formula piena, “per non aver commesso il fatto”. Per lui in Appello il Procuratore Generale Mario Ardigò ha chiesto 18 anni di carcere, con l’accusa di omicidio preterintenzionale, per la morte dello studente americano. Ma il collegio di togati della Prima Corte d’Assise d’Appello ha respinto la richiesta.

“Rischia di rimanere una morte senza un colpevole”, commenta l’avvocato di parte civile Giuseppe Zanalda, legale della famiglia dello studente americano. “Aspettiamo le motivazioni prima di decidere il ricorso in Cassazione”.

“Prendo atto di questa sentenza, ma sembrava che le argomentazioni dell’accusa almeno in ordine al reato di omicidio preterintenzionale fossero convincenti. Così non è stato”, ha aggiunto l’avvocato Zanalda, al termine della lettura del dispositivo.

Galioto è attualmente in carcere perché accusato di un altro omicidio: quello di un cittadino romeno, avvenuto lo scorso maggio, sempre sulla banchina del Tevere nei pressi di Ponte Sisto.

”Il problema di questo processo non è stata la ricostruzione del fatto, caratterizzata da plurimi elementi convergenti contro Galioto, in assenza di riscontri di una dinamica alternativa, ma l’inutile complicazione determinata dal non voler credere che delle riprese video non consentissero di raggiungere, esse sole, la prova diretta del fatto stesso”, ha dichiarato il Procuratore Generale Ardigò, al termine della sentenza.

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