“Martina era in bagno al momento dello sparo e poi ha aiutato il padre a depistare le indagini, contribuendo ad avvalorare la versione da lui fornita“. Sono state rese note le motivazioni della Corte D’Assise di Appello sulla sentenza del processo di secondo grado bis sulla morte di Marco Vannini, per cui sono stati condannati lo scorso 30 settembre Antonio Ciontoli a 14 anni di reclusione, la moglie Maria Pezzillo a 9 anni e 4 mesi così come il figlio Federico Ciontoli e la figlia e fidanzata di Marco Vannini, Martina Ciontoli (leggi qui).
“Non si arriverà mai a scoprire tutta la verità sulla morte di Marco“. E’ quanto emerge dalle motivazioni della sentenza della Corte d’Assise di Appello di Roma, sul processo bis per la morte di Marco Vannini. Nelle 85 pagine dei documenti depositati, i giudici confermano l’impossibilità di ricostruire tutta la verità a causa del depistaggio messo in atto dalla famiglia Ciontoli.
“L’unico in grado di porre in crisi la costruzione di un omicidio colposo era Marco Vannini ed ecco perché il suo decesso, in termini di mera convenienza personale, era da preferire alla sua sopravvivenza” – scrivono i giudici.
Inoltre, come confermato dalla testimonianza di Viola Giorgini, fidanzata di Federico Ciontoli, non ci sarebbero dubbi sul fatto che Martina Ciontoli fosse nel bagno al momento dell’esplosione del colpo di pistola, e che abbia assistito alla conseguente fuoriuscita di sangue e all’annessa reazione del fidanzato.
“Invece di intervenire per aiutare Marco – si legge nelle carte – aiuta il padre a depistare le indagini, contribuendo ad avvalorare la versione da lui fornita”.
Per la prima volta quindi è stata stabilita la presenza di Martina Ciontoli sul luogo della tragedia.
“Sono state evidenziate le menzogne dei familiari che, secondo la Corte, avevano lo scopo di ‘adeguarsi il più possibile alle dichiarazioni di Antonio Ciontolì” – scrive sui social il legale della famiglia Vannini Celestino Gnazi.
In relazione all’atteggiamento degli imputati i giudici hanno parlato di vera a propria crudeltà e di depistamenti avvenuti attraverso la pulizia delle armi e del sangue, le menzogne ai soccorritori e gli accordi sulle versioni da dare.
Tutte cose che abbiamo sempre detto e pensato e che ora, finalmente, emergono con chiarezza in una sentenza – continua Gnazi.
Ora attendiamo, con più serenità, il definitivo verdetto della Cassazione per dire che Marco ha avuto la migliore giustizia umanamente possibile. Certo, non sarà facile dimenticare chi ha affermato che quel colpo d’arma da fuoco e quella ferita non erano stati avvertiti neppure dal povero Marco perchè, altrimenti, sarebbe stato lui a sollecitare i soccorsi.
In ogni caso non verrà lasciato nulla di intentato affinchè ognuno si assuma le proprie responsabilità. Dovrà assumersele anche chi è stato sentito come testimone innanzi alla Corte che, in relazione a quanto è stato detto, ha parlato di assoluta assenza di credibilità e di propensione alla reticenza.
Non ci si può rassegnare al perenne oltraggio della verità e verrà fatto tutto il possibile per farne emergere ancora un altro pezzo” – ha concluso l’avvocato Celestino Gnazi.
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