Il prossimo 20 e 21 settembre saremo chiamati a votare per il referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari. Chi vota sì approva la riforma della Costituzione varata dal Parlamento, scritta originariamente da Movimento 5 Stelle e Lega, che prevede una diminuzione di 230 deputati alla Camera e di 115 senatori al Senato. Chi vota no intende invece mantenere il numero dei parlamentari previsto dalla Carta costituzionale.
Per la consultazione di domenica e lunedì prossimi non è previsto il quorum, e dunque a vincere sarà l’opzione che otterrà più voti, a prescindere dal numero dei cittadini che si recheranno al seggio.
Ma quali sono realmente le alternative in ballo, e quali saranno gli effetti reali, al di là degli slogan, se prevarranno i voti favorevoli? E quali se invece dovesse prevalere il voto degli elettori contrari alla riforma?
Abbiamo intervistato Giovanni Innamorati, noto parlamentarista dell’Ansa e docente dell’Università Lumsa di Roma, autore del volume “Il Parlamento, biografia non autorizzata: misteri, segreti, bugie, trucchi e tradimenti”.
“Votare sì – ci spiega Innamorati – significa confermare la riforma approvata dal Parlamento, che taglia linearmente sia il numero dei deputati che il numero dei senatori lasciando del tutto invariato il meccanismo del bicameralismo perfetto“.
“Se la maggioranza dei cittadini voterà a favore della riforma, si passerà da 630 a 400 deputati alla Camera, e da 315 a 200 senatori a Palazzo Madama. Votare no invece significa rigettare quanto ha deciso il Parlamento, e confermare l’attuale numero di deputati e senatori”, sottolinea il giornalista dell’Ansa ai nostri microfoni.
“L’iniziativa parte con la precedente maggioranza, il governo giallo-verde sostenuto da Lega e Cinque Stelle”, continua il parlamentarista. “A scrivere la riforma sono stati due disegni di legge, il primo a firma del senatore del Carroccio Roberto Calderoli, il secondo a firma 5 Stelle, approvati entrambi dalla maggioranza del governo Lega-M5S e portati avanti con l’appoggio determinante di Fratelli d’Italia”.
Al quarto passaggio parlamentare, necessario per approvare ogni progetto di riforma della Costituzione, avviene però il cambio di governo: cade il Conte I e si forma in Parlamento una nuova maggioranza, basata sull’accordo tra Partito Democratico e il Movimento 5 Stelle.
“Per favorire la nascita del nuovo governo giallo-rosso, i democratici decidono di appoggiare la riforma. All’ultimo passaggio parlamentare dunque, che avviene a ottobre 2019, a favore della riforma si esprimono la stragrande maggioranza partiti, tranne LeU e + Europa”, spiega Innamorati.
In cambio dell’appoggio al progetto di riforma costituzionale il Partito Democratico chiede due cose: una legge elettorale proporzionale con soglia di sbarramento al 5 per cento – a battezzarla universalmente con il nome di “Germanicum” è proprio Innamorati, per la somiglianza con il sistema tedesco – e un Senato eletto anche dai 18enni, per unire i due elettorati ed evitare due maggioranze diverse a Palazzo Madama e Montecitorio.
Altre due riforme costituzionali dunque, che sono però attualmente soltanto all’inizio del lungo iter di approvazione.
“Le ragioni del sì”, spiega Innamorati, “sono i risparmi sullo stipendio dei parlamentari”. Risparmi che, però, a ben vedere non sono così forti come sono stati propagandati. “Perché avremo 345 parlamentari in meno, ma occorrerà pagare più pensioni a quelli che non verranno rieletti“, sottolinea il giornalista Ansa.
Altra motivazione proposta dai fautori del sì alla riforma: “Con meno parlamentari si lavora meglio”.
In realtà, afferma Innamorati, “il lavoro dei legislatori si complica, considerando che il grosso dei compiti viene svolto all’interno delle commissioni. I parlamentari assegnati alle commissioni diminuiranno, e dunque il lavoro verrà ripartito su meno deputati e senatori che dovranno così seguire più commissioni contemporaneamente”.
Il risultato sarà che ci si dovrà affidare molto di più ai tecnici: una riforma tecnocratica, insomma, sottolineano i critici.
“Preferisco deputati e senatori che facciano bene il loro lavoro, studino bene i dossier, approfondiscano i temi delle leggi e siano esperti in materia, piuttosto che averne di meno e impossibilitati a svolgere bene i loro compiti. Meglio dunque avere più rappresentanza e un lavoro migliore in Parlamento, e risparmiare su altre cose“, conclude Innamorati.
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