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Cooperative di comunità: un fenomeno sempre più diffuso

Le cooperative di comunità, con i loro molteplici modelli di business, si stanno oggi diffondendo in diverse parti del mondo. Questo fenomeno è il punto di arrivo di un’evoluzione secolare, che ha visto il progressivo spostamento del baricentro delle cooperative da particolari gruppi sociali o professionali alla società nel suo complesso.

Mentre in passato le cooperative si preoccupavano in via prioritaria di soddisfare i bisogni di specifici gruppi all’interno della società, individuati sulla base delle funzioni economiche svolte (cooperative di lavoro, produzione, utenza) le cooperative di comunità si basano su nuove idee di sviluppo.

La cooperativa di comunità rappresenta uno strumento innovativo di cittadinanza attiva e di democrazia partecipativa, attraverso il quale i soggetti interessati decidono di organizzarsi per dare risposte collettive mirate a contrastare i processi degenerativi dell’assetto sociale ed economico della comunità locale. Le attività svolte mirano a promuovere l’integrazione e a ricostruire o consolidare i legami tra cittadini attraverso progetti di inclusione multiculturale e intergenerazionale.

Cooperative di comunità: un po’ di storia

Di cooperative di comunità s’inizia a parlare già a fine Ottocento, in riferimento alle prime esperienze apparse nell’arco alpino, con le prime cooperative che producono beni o servizi di interesse generale per la propria comunità di riferimento, come le cooperative di consumo o di utenza che gestivano servizi essenziali per la comunità, quali la produzione di energia idroelettrica. 

Poi le traiettorie di sviluppo di queste cooperative si sono ampliate fino ad includere, ad oggi, progetti di investimento nelle aree rurali, al fine di far fronte a fenomeni di spopolamento, alla mancanza di lavoro e alla carenza di servizi sociali.

 

 

Ovviamente però le cooperative di comunità nascono anche nelle aree urbane, principalmente per riqualificare quartieri caratterizzati da condizioni di degrado urbanistico o marginalità sociale.  Sono particolarmente note, in questo senso, le esperienze del Sud Italia, dove si sono sviluppate cooperative in grado di sfruttare la manodopera di giovani italiani e stranieri, al fine di riprendere in mano territori confiscati alle Mafie, creando spazi condivisi come orti, sartorie sociali e progetti di recupero da tossicodipendenze.

 

 

Alessia Pasotto,

dottoressa in Economia dell’Ambiente e dello Sviluppo presso Roma 3,

su Instagram @natur_ale_

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